La rilevazione ISTAT sul Mercato del Lavoro relativa a Gennaio 2018 non presenta particolari novità, ma alcuni dettagli che è opportuno approfondire.
In generale c’è una lieve crescita dell’occupazione che riporta gli indicatori al livello del Novembre 2017 dopo il piccolo calo di Dicembre (58,1% il tasso di occupazione). Cresce anche il tasso di disoccupazione, esattamente nella misura in cui cala il tasso di inattività (0,2%): segno di una fiducia crescente nella possibilità di trovare lavoro. Da notare la continua crescita del tasso d’occupazione femminile che stabilisce un nuovo record assoluto col 49,3%.
Un primo dato su cui riflettere è che a Gennaio calano gli occupati a tempo indeterminato (-12.000) e aumentano quelli a termine (+ 66.000). Ci si attendeva che gli sgravi per le assunzioni permanenti introdotte dalla Legge di Stabilità da Gennaio avrebbero prodotto risultati positivi, come del resto testimoniato da alcune rilevazioni parziali (p. es. Veneto Lavoro). Ci può essere una parziale spiegazione di carattere tecnico: i tempi concretamente utili per fare assunzioni a Gennaio sono meno di una ventina di giorni, e un rallentamento delle operazioni è plausibile. Vedremo a Febbraio. Un’altra possibile ragione è più strutturale, e se vera anche più preoccupante: che , cioè, parte delle imprese non sia ancora, o non sia ancora convinta di essere, in fase di crescita consolidata, e quindi preferisca ancora affidarsi a contratti di breve durata. In Lombardia, per esempio, l’indice di crescita della produzione industriale era al + 5,1% a Dicembre rispetto all’anno precedente; ma settori importanti (stampa, alimentari, tessili) sono parecchio sotto quest’indice e mezzi di trasporto e abbigliamento sono addirittura in negativo. E’ verosimile che questi comparti non abbiano dato un contributo alla crescita occupazionale, e men che meno all’occupazione permanente. Da osservare che a livello nazionale nel manifatturiero (2017 rispetto al 2016) il calo delle assunzioni a tempo indeterminato e la crescita di quelle a termine non presentano grandi numeri: rispettivamente -8.000 nel e + 87.000; il grosso del fenomeno è piuttosto nel terziario: – 56.000 e + 824.000 (Osservatorio INPS). Allora è verosimile concludere che mentre gli incentivi del Jobs Act davano risposta ad una situazione in cui le imprese avevano bisogno di ricostituire gli organici, oggi nel manifatturiero la maggioranza delle aziende giudicano che gli organici siano adeguati e la residuale domanda di lavoro sia più prudente affrontarla con assunzioni a termine. A maggior ragione nel terziario, nel quale la ripresa è più indietro rispetto al manifatturiero: + 0,2% il Valore Aggiunto del comparto rispetto al + 0,9% dell’industria. Altro indicatore interessante: nel quarto trimestre 2017 il 73% delle imprese industriali risultavano in espansione, contro il 60% scarso del commercio-servizi (ISTAT). Dunque la crescita occupazionale che ci si aspetta potrà venire da un ulteriore incremento del manifatturiero e soprattutto dall’estendersi della ripresa al terziario: i margini di crescita sono significativi.
Una sorpresa (per la verità già anticipata dai dati di Dicembre): aumenta l’occupazione nella fascia “giovane”. Al netto della componente demografica nella fascia 15-34 anni il tasso di occupazione sale del 2%, e tra i 15 e 24 anni addirittura del 6% ma questa crescita è determinata in gran parte da contratti a termine: nella fascia di età fino ai 25 anni le assunzioni a termine nel 2017 sono state l’822% di quelle a tempo indeterminato, nella fascia da 25 a 29 il 540 % mentre nel totale le assunzioni a termine sono state il 400% rispetto a quelle a tempo indeterminato. Da notare che le assunzioni a tempo determinato tra le donne sono state il 480% rispetto al tempo indeterminato (il record è tra le donne sotto i 25 anni, dove le assunzioni a termine sono state il 931% rispetto a quelle permanenti). Attenzione però ad interpretare in modo corretto questi dati: in primo luogo si riferiscono alla dinamica della assunzioni, non allo stock di occupati, tra i quali i contratti a termine restano al 16,8%, in leggera crescita ma comunque nella media europea; in secondo luogo il numero di assunzioni a termine non corrisponde ad un pari numero di lavoratori: uno stesso lavoratore può avere avuto (e per lo più è stato così) più assunzioni a tempo determinato nel corso dello stesso anno. In conclusione: il boom di assunzioni di giovani e donne è sostenuto essenzialmente da contratti a termine, il che sembra confermare l’ipotesi che le imprese che non si sentono ancora stabilmente inserite nel ciclo di crescita preferiscono assumere mano d’opera più flessibile ricorrendo a contratti a termine e privilegiando i lavoratori che vengono ritenuti più disponibili alla flessibilità: appunto donne e giovani. Se è davvero così esistono possibilità concrete che questa occupazione gradualmente si trasformi in buona parte in occupazione permanente.
E’ opportuno introdurre una riflessione sugli indici di produttività, perché hanno importanti effetti su quelli occupazionali. Nel quarto trimestre 2017 si è registrata, dopo molto tempo, una crescita minima della produttività del lavoro: 0,1% per ora lavorata e 0,2% per Unità Lavorativa Annua (cioè il numero degli occupati a tempo pieno, calcolati anche come somma delle posizioni a part time). Il che certamente è positivo ma segnala che, come fattore produttivo, il lavoro cresce pochissimo (dopo peraltro 13 anni di stagnazione mentre in UE cresceva significativamente) e che l’aumento del Valore Aggiunto è essenzialmente dovuto al fattore capitale, sostenuto principalmente dagli investimenti in macchinari e particolarmente in ICT (Information Communication Technologies). Questo da un lato è positivo perché indica che il nostro tessuto produttivo (soprattutto quello industriale) ha imboccato la strada della Quarta Rivoluzione Industriale, dall’altra parte rischia di essere un plastica dimostrazione che il valore aggiunto può crescere anche a prescindere dal fattore Lavoro; e questa considerazione può pesare parecchio sulle scelte delle aziende e sull’occupazione. E se questa è la tendenza, non potranno bastare facilitazioni di carattere fiscale e contributivo a contrastarla, se non nei comparti maturi che potranno offrire occupazione di bassa qualità. E allora occorrerà cominciare sul serio a parlare di “capitale umano” e di come formarlo.
A cura di Claudio Negro (Fondazione Anna Kuliscioff)
di Maria Elena Marsico
Elezioni della rappresentanza sindacale in corso non soltanto nel privato ma anche nel pubblico impiego. La FISMIC, SNALS, UNSA, FIALS, FENAL – Confsal. Uniti tutti dallo stesso pensiero e dalla stessa linea: propositiva, innovativa, libera da qualsiasi vincolo ideologico e politico, e bisogna ripartire da qui, da questo punto di forza. Una confederazione, dei sindacati che ci mettono la faccia liberamente, per lottare al fianco dei propri lavoratori e che mettono la persona al centro, ricordando che questa figura sia dietro qualsiasi tipo di lavoro o mansione. Infatti è importante porsi in modo propositivo per far emergere il concetto che il sindacato può dare un contributo alla crescita del Paese, senza lasciarsi guidare da dogmi, col fine di professionalizzare i lavoratori e affinare la professionalizzazione del sindacato a tutela dei lavoratori e a difesa del lavoro. La persona dietro il lavoratore ha infatti delle esigenze e queste devono essere rispettate. Sostenere i sindacati che seguono questo modus operandi vuol dire seguire coerentemente la stessa linea e lo stesso stile e i candidati e le candidate sapranno rappresentare al meglio queste importanti virtù e che fanno sì che la nostra confederazione trovi gli stessi ideali in tutti i sindacati che abbraccia formando una grande squadra. A tutti coloro che sono impegnati nelle elezioni sulla rappresentazione va il pieno sostegno e appoggio della Fismic, impegnata a sua volta nel ricambio rappresentativo.
Pubblicato su Italia Oggi
20-03-2018