Nessuno ne parla, ma la Confsal Unsa lancia l’allarme: “dal 1° gennaio 2019 le pensioni saranno penalizzate dell’1,5% in meno. Lo prevede la revisione dei coefficienti di trasformazione della pensione pubblicata in Gazzetta Ufficiale l’8 giugno u.s.” rende noto Massimo Battaglia, segretario generale della federazione Confsal-Unsa. Sindacato autonomo del settore pubblico. A dar vigore all’allarme anche il sindacato autonomo del settore privato Fismic Confsal, che rimarca la “differenza tra le promesse elettorali di cancellazione della Legge Fornero e il vuoto assoluto di iniziative legislative da parte del nuovo Esecutivo Conte”.
“Gli argomenti che in questi giorni la fanno da padrone per noi non rappresentano una novità; sono la riproposizione di quanto, sin dall’avvento della riforma Fornero, affermiamo e riteniamo utile al nostro Paese, asfittico in termini occupazionali, e al mondo del lavoro pubblico o privato che sia” leggiamo nel documento della Confsal Unsa. Tocchiamo quindi il tema delle pensioni.
“Dal primo momento – dichiara il segretario generale Confsal Unsa Massimo Battaglia – abbiamo considerato sbagliata la riforma delle pensioni con l’inasprimento dei requisiti e da subito abbiamo intrapreso delle iniziative per affermare due cardini fondamentali: la Quota 100, età più contributi (senza liniti d’età) , e i 41 anni di contributi anche questi senza limiti di età”.
“Una posizione chiara e forte, alla quale adesso sembra si siano accodati in tanti” è riportato nel documento prodotto da Confsal Unsa che prosegue dicendo che “fino ad oggi, nonostante le tante discussioni e le presunte disponibilità dichiarate da tutto il versante politico, la situazione è sostanzialmente immutata fatta eccezione per alcune limitatissime categorie di soggetti che possono ricorrere all’APE sociale, o peggiorata, per alcuni versi guardando l’APE volontaria dove si è costretti ad attingere a un prestito oneroso, con tassi del 7%, per accedere anticipatamente alla pensione. A ciò si aggiunge l’aggravante della crescita dei requisiti di età e contributivi, legata al cosiddetto incremento delle speranze di vita, con una velocità alquanto anomala e di contraltare la revisione al ribasso dei Coefficienti di Trasformazione utili a determinare l’ammontare della pensione nel sistema contributivo”.
“Come se non bastassero i cinque mesi di incremento dei requisiti per l’accesso alla pensione, sempre dal 1° gennaio 2019, è di questi giorni l’ultima perla pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 8 giugno, muteranno i Coefficienti di trasformazione: con questi nuovi Coefficienti tutti coloro che andranno in pensione dal 1° gennaio avranno pensioni di valore inferiore” dichiara la Confsal Unsa congiuntamente alla FISMIC CONFSAL.
Secondo i due sindacati autonomi, basta un minuto per avere una pensione di importo inferiore; un minuto dopo la 24^ ora del 31 dicembre 2018 e si perde l’1,5% della pensione. È l’effetto della revisione dei coefficienti di trasformazione: a parità di montante contributivo e, sostanzialmente, a parità di età, accedere alla pensione il 1° gennaio 2019 anziché il 31 dicembre 2018 può costare, per pensioni medie, fino a 300 euro l’anno e per sempre.
Lo scenario che i sindacati autonomo Confsal Unsa e Fismic Confsal prospettano per chi dovrà andare in pensione, se non ci saranno interventi immediati è il seguente:
di vecchiaia, se:
– nel 2018 si hanno 66 anni e 7 mesi di età;
– nel 2019 si hanno 67 anni di età;
anticipata di vecchiaia, indipendentemente dall’età anagrafica, se:
– nel 2018 si hanno 42 anni e 10 mesi di contribuzione (uomini);
– nel 2018 si hanno 41 anni e 10 mesi di contribuzione (donne);
– nel 2019 si hanno 43 anni e 3 mesi di contribuzione (uomini);
– nel 2019 si hanno 42 anni e 3 mesi di contribuzione (donne).
La Confsal Unsa spiega che dato tale contesto, dagli annunci governativi e da quanto si legge sui quotidiani sembrerebbe ci sia una volontà di intervenire sulla materia; ma sul come si palesa una grande confusione che genera aspettative e, nel contempo, delusioni. Le aspettative: generate dall’annuncio di “quota 100” e dei “41 anni di contributi” (nel frattempo diventati 41 anni e 5 mesi) a prescindere dall’età anagrafica.
“Fin qua tutto bene” spiega il sindacato, ma “poi la delusione quando si legge che quota 100 si raggiunge con una età minima di 64 anni e 36 anni di contributi e che i 41 anni (o 41 anni e 5 mesi) di contributi devono essere effettivi escludendo aumenti di valutazione, riscatti, ecc. Peggio ancora quando si legge che la condizione per beneficiare di queste novità è il passaggio al calcolo della pensione interamente con il sistema contributivo, anche per chi è nel sistema retributivo/misto; un sistema di calcolo che, come visto in precedenza, subisce la periodica revisione al ribasso dei coefficienti di trasformazione e impone sempre più pensioni di ammontare inferiore. Per quello che si legge e si è sentito dire se ne potrebbe desumere che il rimedio sia peggiore del male, i cittadini e i lavoratori non meritano questo a loro servono chiarezza e certezze”.
La Fismic Confsal si unisce alla Confsal Unsa ribadendo la proposta sulle pensioni con l’obiettivo di tutelare il diritto alla pensione, garantendo un sistema migliore e una salvaguardia delle pensioni con un’uscita dal lavoro dignitosa.
Ecco il sunto della proposta dei due sindacati autonomi per accedere alla pensione:
ed infine:
In conclusione quello che la Confsal Unsa ritiene sia utile, e che la Fismic Confsal condivide, è la “fine degli annunci, un messaggio puntuale del Governo con un testo di disegno di legge che possa rassicurare i cittadini e i lavoratori sulla reale volontà di modificare il sistema pensionistico e consentire a ogni individuo di poter programmare con serenità e certezza il proprio futuro”.
L’Auspicio è quello che la proposta avanzata sia presa in carico dal governo. Come già annunciato in precedenza dai due sindacati autonomi, sarà avviata una raccolta di firme a sostegno della proposta che sarò inviata al ministro del Lavoro, al ministro della Pubblica Amministrazione e al presidente del Consiglio dei ministri. I due segretari generali dei rispettivi sindacati autonomi Massimo Battaglia e Roberto Di Maulo auspicano inoltre che si proceda finalmente alla chiarezza della gestione INPS separando in modo definitivo l’assistenza dalla previdenza. Fintanto che ci sarà commistione nella gestione dell’INPS sia dei fondi da destinare alle pensioni che di quelli che servono ad assistere i cittadini nelle svariate forme di assistenza oggi esistenti (Cassa integrazione, Contratti di solidarietà, APE nelle sue diverse forme, assegno di ricollocazione, reddito di inclusione, ecc.) non potrà mai essere chiaro quale è il reale destino dei Fondi che servono a reggere il sistema pensionistico e quelli destinati alle svariate forme di assistenza oggi esistenti e (semmai un giorno verrà mantenuta l’ennesima promessa elettorale dei 5 stelle) il futuro cosiddetto reddito di cittadinanza.
I cittadini oggi soffrono questa situazione e la mancata separazione tra assistenza e previdenza non aiuta certo la comprensione e la trasparenza dei flussi finanziari di quella che rappresenta la voce principe delle uscite nel bilancio dello Stato.
Articolo su ItaliaOggi del 3 Luglio 2018
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