AL DEF MANCA STRATEGIA

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Roberto Di Maulo segretario generale Fismic Confsal

A rischio ceto medio e lavoratori dipendenti
L’analisi del segretario generale della Fismic Confsal sulla manovra

Prima della lettura della Nota di aggiornamento di Economia e Finanza, ci sembra particolarmente importante situarla nel contesto economico sociale di economia mondiale con cui dovrà interagire.

Con 9 miliardi per redditi e pensioni di cittadinanza, 7 per la controriforma Fornero, 1 miliardo per “risuscitare” i centri per l’impiego e per le assunzioni del ministro dell’Interno Salvini, 2 miliardi per un assaggio di flat tax e 1,5 miliardi per i truffati dalle banche: un avvio del programma previsto dalla coalizione Lega-M5s, quasi del tutto finanziato in deficit. Intanto, mentre noi ci guardiamo l’ombelico, il mondo va avanti e i margini di manovra si restringono.

L’economia americana sta andando come un treno a folle velocità (disoccupazione solo al 4%, crescita del 3%, valori mai toccati prima del 2011), l’inflazione corre al 3% con i salari che crescono del 4%: numeri questi che porteranno la Banca Centrale ad aumentare i tassi di costo del denaro a innalzarsi, fino probabilmente a toccare il 3% entro la prima metà del 2019.

Apparentemente sembrano numeri lontani da noi, ma che invece dovrebbero far porre un interrogativo al nostro governo nel predisporre la manovra finanziaria: se il Paese con i titoli pubblici del mondo potrà permettersi di emettere nuovi titoli con un rendimento del 3%, a quale tasso dovranno attestarsi le aste dei nostri titoli di Stato per attrarre investitori? E a che prezzo in termini di interessi aggiuntivi? E ancora, riusciremo a drenare risparmio nel mondo tra gli investitori, se la Banca Centrale di Washington lancerà le prossime aste con un rendimento crescente, sempre più vicino al 3%?

Intanto i riflessi dei soli annunci hanno portato le economie più deboli e isolate nel contesto internazionale (Turchia, Venezuela e Argentina) a rischiare il default e ad aprire delle crisi finanziarie profondissime, con tassi di inflazione spesso oltre le tre cifre.

L’Europa, che gode di economie molto più stabili grazie alla solidarietà e allo scudo offerto dal “bazooka di Draghi” ha potuto continuare su una linea di sostanziale stabilità sul fronte dei tassi di interesse da parte di tutti i Paesi principali (Germania, Francia, Spagna); solo l’Italia ha visto triplicare lo spread e gli interessi sull’emissione dei titoli di Stato rispetto a quelli che erano prima delle elezioni del 4 marzo. Ma questo quadro è destinato a deteriorarsi, dato l’annuncio della Bce di diminuire l’impegno ad acquistare titoli di Stato con un decalage del 30% a partire da questo trimestre, per arrivare ad annullare l’impegno stesso entro la primavera del 2019.

A nostro avviso la speranza di dare un forte impulso alla crescita dell’economia, con le misure contenute del Def, non solo è sbagliato per le misure in esso contenute, come vedremo più avanti, ma anche perché contiene delle stime di crescita del Pil nel triennio che sono fortemente illusorie; questo visto il contesto economico in cui cade e il peso dell’enorme massa del debito pubblico che, a tassi di interesse in fortissima crescita, alimenterà una spirale perversa di necessità di finanziarlo attraverso l’emissione di titoli di Stato. Il rischio è che il rialzo del tasso di interesse sui titoli di Stato, per renderli appetibili al mercato, peserà sempre più sul cumulo del debito pubblico, facendolo lievitare in modo non sopportabile per la nostra economia e soprattutto per i redditi della classe media e del lavoro dipendente. E’ questa fascia di persone infatti che si troverà obbligata a finanziare gli squilibri di bilancio con un appesantimento del carico fiscale e con una probabile stagflazione (combinato disposto tra una stagnazione dell’economia e un aumento dell’inflazione. Certo non ai livelli venezuelani, ma pesanti per l’andamento delle retribuzioni). I primi effetti si possono già leggere nel Def laddove esplicitamente lo Stato, inteso come “padrone” dei pubblici dipendenti, non prevede nessun aumento contrattuale delle retribuzioni, anzi prevede una diminuzione nel triennio del costo per dipendente dello Stato.

La cosa che bisogna comprendere, infatti, è che il sovranismo sia unilaterale e non comprende nelle sue ferree regole la solidarietà tra Stati sovranisti. Pertanto, l’America di Trump avrà come stella polare “America first”, la Le Pen “Prima la Francia”, Orban “Prima gli ungheresi” e prima o poi questi interessi confliggeranno molto presto sul versante economico e poi anche su quello geo politico, portando di nuovo il mondo a conflitti di confine via via crescenti. Gli interessi di ciascun sovranismo entrano per definizione in conflitto tra loro e questo porterà l’Europa a tornare ad essere terreno di guerra come è stato per millenni, dimenticando i 70 anni di prosperità e pace che ha garantito il solidarismo dell’Unione Europea dal dopoguerra ad oggi.

C’è inoltre un altro deficit con cui dovremo fare i conti, ed è la concezione dello Stato e dei rapporti contrattuali tra Stati che hanno i partiti che formano la coalizione giallo-verde: c’è un continuo imbarbarimento del confronto politico, del rispetto della minoranza, del disattendere patti già sottoscritti con i partner, una rimessa continua in discussione di opere infrastrutturali strategiche per il nostro Paese già finanziate (Tav, Tap, Gronda, terzo valico, etc.), cose, queste, che stanno mettendo in discussione la stessa convivenza civile, il confronto democratico, le comunità, in un mare d’odio in cui spesso prevale la legge del taglione, lasciando da parte ogni principio di stato di diritto.

Mentre (forse) potremo cavarcela dall’aumento dello spread e dal rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato, ben difficilmente potremo ritornare a stare insieme come popolo unitario se non ci liberiamo dai muri dell’odio, dal giudicare il diverso come nemico e non come opportunità, se non ci liberiamo della brutta filosofia propria dei Paesi dittatoriali del “non facciamo prigionieri”, della vendetta come arma per trattare le discussioni che dovrebbero essere legittime con chi non la pensa come noi. Da questo spread di inciviltà non ci salva nessuno e il rischio è che stiamo correndo verso il baratro.

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare” è il testo di un sermone di un pastore tedesco ai tempi dell’avvento del nazismo, erroneamente attribuito a Brecht, che spero non dovremo mai, mutatis mutandis, farlo ritornare di moda oggi.

Tornando al merito del Def proviamo a fare un veloce riepilogo delle principali misure in esso contenute, fermo restando che molte di esse sono di difficile interpretazione, essendo ancora in attesa dei dispositivi applicativi che interverranno in un secondo momento e non essendo ancora chiaro il dettaglio di esse. L’insieme della manovra finanziaria ha un costo di 42,9 miliardi di euro aggiuntivi così divisi: 3,4 in nuovi investimenti pubblici; 3,4 in maggiori costi di interessi su debito pubblico; 12,5 nella sterilizzazione degli aumenti dell’Iva; 3,5 nelle spese non rinviabili; 1 miliardo nei centri per l’impiego; 9 nel cosiddetto “reddito di cittadinanza”; 1,5 nel fondo danneggiati da fallimenti banche; 1 miliardo nell’assunzione delle Forze dell’Ordine.

Le coperture finanziarie dovrebbero provenire per 1,2 miliardi da minori spese militari, 1 miliardo da nuove tasse alle banche, 3,5 da tagli ai ministeri, per una forbice da 3 a 5 dal condono fiscale, 1,5 dal taglio alle agevolazioni alle imprese (Ace e Ires), 2,8 miliardi dal taglio alla Rei (reddito di inclusione), almeno 2 miliardi dai tagli alle detrazioni fiscali e almeno 28 – 30 miliardi dal maggiore indebitamento. Inoltre sono previsti tagli del 50% all’alternanza scuola-lavoro, importanti riduzioni alla spesa scolastica e al reddito da lavoro dipendente dei lavoratori pubblici e anche all’utilizzo dei fondi per la formazione continua per finanziare il “reddito di cittadinanza”. Inoltre va tenuto in contro che i circa 3-5 miliardi che si dovrebbero ottenere col condono fiscale (senza dare giudizi di merito sulla legittimità di fare regali ai disonesti) rappresentano un puro esercizio matematico non preventivabile e anche una tantum, che andrebbero quindi esclusi dal novero delle coperture finanziarie.

A parte il folkloristico slogan “abbiamo abbattuto la povertà”, si vuole segnalare che si tratta di una gigantesca operazione di trasferimento di ricchezza a danno del ceto medio e dei lavoratori dipendenti che non possono evadere l’alta tassazione, a favore dei disoccupati. Così come si tratta di una poderosa regalia agli ultra sessantaduenni a scapito delle giovani generazioni che dovranno impegnarsi a pagare la pensione anticipata, vedendo sempre più scendere il loro futuro assegno pensionistico, colpito in modo pesante da una rivalutazione in linea con l’andamento del Pil e non, come sarebbe giusto, dall’andamento del costo della vita. Inoltre l’assegno pensionistico rimane anche taglieggiato dall’indice di svalutazione che, anno dopo anno, impoverisce il futuro assegno pensionistico per le giovani generazioni al lavoro, mentre sembra salvaguardare coloro che godono del “reddito di cittadinanza”.

Il tutto sarebbe tenuto insieme da un fantasmagorico aumento del Pil di oltre tre punti, secondo le fantasie geriatriche dell’ultra ottuagenario (82 anni) ministro Savona, previsioni basate non si sa bene su cosa, considerato lo scenario mondiale ed europeo fatto di rallentamento dell’economia, a eccezione di quella americana che non è molto disponibile a nuovi piani Marshall, giacché è basata sullo slogan di Trump “America first” (prima gli americani).

Preoccupa molto, infine, l’assenza di un disegno strategico volto a supportare la crescita dell’industria manifatturiera in un Paese che è il secondo in Europa e il settimo al mondo per la produzione e le esportazioni di prodotti industriali. Tutte le misure di tagli alle detrazioni fiscali sembrano invece andare nella direzione opposta, così come una sorta di politica volta a vendicarsi dell’impresa media e medio – grande, che oggi è grande esportatrice e che avrebbe dei danni enormi dal possibile isolamento del Paese dal resto dell’Europa, in termini di minore esportazione e di riduzione delle commesse e, di conseguenza, dell’occupazione nei settori strategici per la creazione di ricchezza del Paese.

Articolo su ItaliaOggi del 16 ottobre
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