ECOTASSA: DI MAULO (Fismic Confsal) PRIMA GLI ITALIANI? NO, PRIMA I COREANI

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Roberto Di Maulo segretario generale Fismic Confsal

Roma, 18 dicembre. Sembrerebbe che il Governo abbia cancellato parzialmente la cosiddetta ecotassa togliendo dal dispositivo la parte più odiosa, immaginata così dal ministro Di Maio, in cui i poveri dovevano finanziare i ricchi. “Ma ancora la normativa non va assolutamente bene perché favorisce le case produttrici di automobili estere rispetto alla casa produttrice nazionale” dichiara il leader del sindacato autonomo Fismic Confsal.

“Infatti – prosegue – la Fca ha annunciato un piano industriale nel quale il decollo delle motorizzazioni elettriche avverrà solo sul mercato a partire dal 2020. Di conseguenza, se il provvedimento governativo dovesse iniziare nel 2019 aprirebbe il mercato a produttori coreani e giapponesi penalizzando l’intera filiera produttiva automotive, non solo italiana, ma anche europea. Si tratta di un provvedimento cervellotico, anche perché le macchine ibride prodotte attualmente fanno parte di una tecnologia ormai superata che garantisce un buon impatto ecologico soltanto quando il guidatore procede a 35-40 km/h, superando tale limite, sono delle volgari vetture a benzina”.

“Chiediamo quindi che la compagine governativa ripensi totalmente il provvedimento che rischia di penalizzare i produttori italiani ed europei a vantaggio di quelli dell’estremo oriente. Pensiamo sia più utile, disporre delle risorse per realizzare sul territorio nazionale quella rete infrastrutturale di colonnine elettriche che oggi sono totalmente assenti soprattutto fuori dalle grandi città. A partire dal 2020, un provvedimento ecologico a sostegno delle auto elettriche, a metano e a gpl può essere utile, ma se si parte nel 2019 si rovescia la frase d’ordine slogan della campagna elettorale ‘prima gli italiani’ e si mette in pratica un triste ‘prima i coreani e i giapponesi” questo l’appello del sindacato, conclude Di Maulo “ci rivolgiamo soprattutto a Salvini che sembra più sensibile alle sorti dell’industria italiana e che quello slogan continua a urlarlo nelle piazze, ma non in Parlamento”.