La parola ai Segretari
Roma, 13 maggio. Da qualche anno il vocabolario della politica si è arricchito di termini nuovi intorno ai quali la riflessione appare tuttavia, ancora, molto carente.
Se ho deciso di scrivere queste poche righe l’ho fatto per tentare di argomentare al meglio alcune affermazioni che, mi sembra, semplifichino troppo i termini di un dibattito che, per poter essere utile, avrebbe bisogno di essere non solo molto più chiaro ma anche molto più partecipato.
Da qualche anno il termine sovranismo è entrato, tanto prepotentemente, nel dibattito pubblico italiano da essere usato come una categoria che mette insieme partiti e leader politici, all’apparenza eterogenei, che sostengono la preservazione o, per taluni, la riacquisizione della sovranità nazionale in contrapposizione alle istanze e alle politiche di quelle organizzazioni internazionali che, spesso, vengono considerate, strumentalmente, come una minaccia all’identità nazionale.
Con il termine sovranismo si è soliti indicare, dunque, politiche nazionali protezioniste contrarie alla globalizzazione (che pure costituisce uno dei fenomeni economici più rilevanti degli ultimi anni) che, in genere, hanno nell’avversione violenta verso gli immigrati, nella xenofobia, nel razzismo il loro denominatore comune.
Associato al sovranismo c’è anche il concetto di populismo – sarebbe meglio chiamarlo neo populismo – che è tornato a svilupparsi in corrispondenza di una profonda crisi della rappresentanza e sulla base di una crisi economica che ha sconvolto le certezze sulle quali, il vecchio continente, ha vissuto per decenni e che ha indotto incertezza, paura per il futuro unitamente a confuse, ed a volte contraddittorie, esigenze di sicurezza.
Ciò ha aperto, anche nel nostro paese, una grande questione democratica che dovrebbe spingere i più attenti ad interrogarsi su quanto sia lecito prescindere dalle regole (nazionali ed internazionali) in nome di una ipotetica volontà popolare che, tuttavia, va ancora osservata, studiata e capita con attenzione nella sua evoluzione perché anche da essa si comprende il senso della direzione intrapresa dall’Europa.
In generale chi si contrappone a certe spinte cercando di spazzare via i partiti tradizionali fa emergere forme più o meno marcate di nazionalismo che, nel passato, sono state brodo di coltura di forme autoritarie e ciò non ha bisogno di ulteriori sottolineature sulla sua pericolosità.
Le dinamiche politiche europee, specialmente quelle di questi ultimi mesi, ed in esse anche di quelle italiane, dimostrano che c’è una pericolosa tendenza ideale del sovranismo e del populismo a fondersi (non potendosi sovrapporre meccanicamente) facendo tornare in auge forme della politica che pensavamo appartenere, ormai, ad un lontano passato.
Quando si parla di populismo dirigendosi alla pancia dell’elettorato non solo si tenta di dare risposte facili a problemi complessi e quando si intende per sovranismo la concretizzazione politica della tutela della propria identità, dei propri confini e delle prerogative rispetto alla comunità internazionale teorizzando l’uso della violenza come elemento dirimente per raggiungere tale obbiettivo allora dobbiamo sapere che i rischi per la nostra democrazia sono enormi.
In questo complesso quadro una funzione imprescindibile e di enorme importanza deve poterla svolgere la cultura; una cultura che deve considerare il mondo del lavoro, nelle sue innumerevoli articolazioni odierne, come il depositario di quell’energia e di quell’intelligenza collettiva in grado di cambiare la propria condizione subalterna e, a partire da essa, l’intera società in direzione di un ampliamento reale della democrazia.
Rendersi portavoce delle istanze del popolo per chi, come noi, vive da anni la realtà sindacale significa avere la capacità discutere apertamente di questi temi lavorando, quotidianamente, per migliorare le condizioni degli strati più deboli della società, in un quadro di democrazia rappresentativa, pur auspicandone il superamento ma senza incorrere nel rischio di sostituirsi ai partiti.
Dobbiamo, quindi, avere chiara la consapevolezza della necessità di un profondo rinnovamento in senso partecipativo del sindacato da realizzarsi anche sul piano delle strutture organizzative che spesso e volentieri sono un elemento di forte burocratizzazione di quello che è uno dei più importanti corpi intermedi dello Stato.
È sufficiente, quanto ho scritto, per sostenere che un nuovo spettro si aggira per l’Europa? Se si, apriamo una discussione franca e serena con chiunque lo desideri, in buona o cattiva fede; avremo in tal modo qualche strumento in più per tutelare la democrazia.
Silvio Battistini
Segretario responsabile territoriale
Fismic area metropolitana di Roma