Nel pieno della crisi che la pandemia ha portato nel cuore delle famiglie e dei popoli del mondo, l’Europa è chiamata a uno sforzo eccezionale per far sì che la fase acuta della crisi sia gestita nel miglior modo possibile date le drammatiche circostanze. E che si diano linee guida forti ai singoli Stati membri per permettere una fuoruscita con minori traumi possibili per l’occupazione e l’economia.
Hanno prevalso finora nel dibattito europeo maniche contrapposizioni tra Paesi cosiddetti rigoristi e il Sud dell’Europa. Al di là delle bandierine, noi crediamo che debba prevalere in questa fase il senso comune di fornire all’Europa un collettivo impegno economico e sociale oltre che sanitario, in grado di mettere in campo strumenti ordinari e straordinari a sostegno della ripresa.
Misure già significative sono state finora prese e le misure fiscali si stanno moltiplicando. Va superato il sentimento antieuropeo e una pericolosa sottovalutazione delle misure finora prese da Bruxelles e Francoforte. L’Europa c’è, esiste, è efficace, è flessibile, è veloce e, pur non facendo ancora tutto ciò che potrebbe fare, ha già fatto molto per evitare che in questi giorni alcuni paesi europei potessero finire gambe all’aria.
La Commissione Europea, nel giro di neppure un mese, ha rivisto le norme sugli aiuti di stato; ha istituito un primo fondo di investimento da 37 miliardi di euro per fornire liquidità alle piccole imprese; ha proposto di utilizzare ogni singolo euro di bilancio dell’Unione europea per politiche finalizzate a proteggere le vite dei suoi concittadini; ha lanciato un’iniziativa di sostegno da cento miliardi di euro (Sure) per mitigare i rischi di disoccupazione in caso di emergenza; ha proposto di reindirizzare tutti i fondi strutturali disponibili per rispondere alla crisi generata dal coronavirus; ha applicato la piena flessibilità alle norme fiscali; ha sospeso le regole di disciplina di bilancio e ha creato un bazooka potenziale dal valore di 2.770 miliardi di euro, più dei 2.000 miliardi di dollari stanziati dagli Stati Uniti.
A questi miliardi vanno aggiunti anche altri miliardi preziosi che sono quelli, strategici, cruciali, vitali, che arrivano dagli altri angeli custodi dell’Europa, come la Bce, che ai 120 miliardi di Quantitative Easing, già previsti fino alla fine dell’anno, ne ha affiancati altri 750 aggiuntivi che permettono di procedere a consistenti acquisti di debiti obbligazionari emessi dagli stati membri e dalle rispettive imprese; e come la Bei, che proprio oggi all’Eurogruppo presenterà una proposta per la creazione di un fondo di garanzia che consentirà di offrire alle imprese europee liquidità per effettuare investimenti fino a circa 200 miliardi.
Queste misure sono sufficienti? Certo che no, ma va superata la visione populista alla Trump e vanno mirati interventi ulteriori a sostegno di un’economia ferma da oltre un mese e che dovrà confrontarsi coi giganti americani e cinesi alla ripresa.
Di piano Marshall si sta discutendo in queste ore all’Eurogruppo, ma per essere tale, il piano di ricostruzione deve anzitutto avere dimensioni paragonabili a quelle messe in campo da Cina e USA e, avere strumenti flessibili di finanziamento alle imprese, sia alle piccole ma anche alle grandi. Un piano in grado di favorire soluzioni ai giganti europei per affrontare la crisi e la trasformazione tecnologica in modo efficace e per poter vincere la competizione globale.
In questi giorni la Commissione Europea ha varato uno strumento (SURE), finanziato con 100 miliardi in grado di affrontare l’emergenza occupazionale in modo efficace e che è stato approvato da tutti i governi. Ebbene quello strumento può essere potenziato ed è in grado di emettere dei titoli a garanzia (Coronabond e European Bond) e può superare il dibattito tutto ideologico in corso e dare prospettiva all’economia europea in vista della ripresa. La strada che suggeriamo è quindi quella di potenziare gli strumenti già esistenti, a partire da SURE per dare ai popoli europei quella solidità finanziaria indispensabile per superare una crisi senza precedenti.
In queste ore è in gioco il destino di milioni, di centinaia di milioni di uomini e donne stremati dalla pandemia, oltre che industrie ferme da mesi. Noi italiani dobbiamo avere la consapevolezza che senza l’Europa la strada della ripresa sarebbe ancora più difficile. Ma l’Europa deve avere altrettanta consapevolezza che senza Italia, l’Europa non esisterebbe. Questa è la posta in gioco e i governanti mettano via i veti incrociati dettati da puerili ragioni politiche e affrontino la fase drammatica con misure in grado di far fare all’intero vecchio Continente un salto di qualità, anche approfittando del fatto che è in discussione la fine del settennato e l’inizio del nuovo bilancio pluriennale europeo 2021/2027 mobilitando grandi risorse finanziarie che possono essere utilizzate allo scopo di fare veramente l’Europa dei popoli e non più della finanza.
Di Roberto Di Maulo
vicepresidente CESI
segretario generale Fismic Confsal