di Roberto Di Maulo
Segretario generale Fismic Confsal
su il Diario del Lavoro www.ildiariodellavoro.it
Storicamente quando si pensava ad un sindacato capace di interpretare gli interessi generali di ogni strato sociale del Paese si era soliti affermare che era il sindacato confederale in grado di compensare gli interessi di categoria con quelli generali, mentre invece il sindacalismo autonomo era, nella vulgata popolare, accostato a interessi corporativi di piccoli gruppi che spesso in maniera egoistica portavano avanti le loro richieste, senza tenere in nessun conto della situazione generale.
Ora questo paradigma, che sembrava fosse scolpito nella pietra, si è di fatto rovesciato e non a parole, ma attraverso degli atti concreti.
Il 5 novembre FIM-FIOM-UILM, cioè i metalmeccanici, quelli che sul finire degli anni ’60 del precedente millennio hanno fortemente contribuito con le loro lotte generali a modificare il rapporto di lavoro nel nostro Paese, hanno proclamato uno sciopero della categoria a sostegno della rivendicazione contrattuale di aumento della paga base dei lavoratori dell’8%, a fronte di un’inflazione negativa e di una situazione del Paese flagellato dalla pandemia COVID19. L’unico sindacato che si è opposto con forza a questa dimostrazione di forza è stato proprio il sindacato autonomo FISMIC e FALI CONFSAL che, facendosi carico responsabilmente della situazione generale del Paese, affermavano in un comunicato a diffusione nazionale in tutti i posti di lavoro che “Riteniamo che in questa fase di emergenza e di incertezza totale, proclamare uno sciopero non sia la cosa migliore, in quanto danneggia le buste paga dei lavoratori e contribuisce alla recessione dell’economia e non porta sicuramente alcun vantaggio al rinnovo contrattuale. Inoltre, riteniamo che in questo momento sia prioritaria la salvaguardia dei posti di lavoro e la tutela della salute dei lavoratori con il rispetto rigoroso dei protocolli e, gli imprenditori, il Governo e le parti sociali debbano destinare a questi argomenti prioritari la loro attenzione massima e non disperderla in inutili scioperi.” Questo pur tuttavia consapevoli che “FISMIC E FALI CONFSAL ritengono necessario che ai lavoratori metalmeccanici italiani venga riconosciuta una retribuzione congrua e adeguata agli sforzi che quotidianamente essi compiono per contribuire al bene del nostro Paese. Le aziende metalmeccaniche sono infatti al primo posto per la creazione della ricchezza nazionale e per l’esportazione delle nostre merci nel mondo per questo i loro lavoratori non possono essere mortificati da retribuzioni taglieggiate da un cuneo fiscale che è tra i più alti al mondo. La conduzione del negoziato da parte dei sindacati al tavolo è stata sbagliata. Auspichiamo una ripresa del negoziato su basi diverse.” Cosa che puntualmente si sta verificando, dopo un’adesione dei lavoratori all’iniziativa di lotta alquanto modesta.
In questi giorni, di nuovo ma in un altro settore, si sta verificando una situazione paradossale ed analoga. I sindacati del Pubblico Impiego di CGIL-CISL-UIL hanno proclamato uno sciopero generale delle categorie per il 9 dicembre, motivato dall’insufficiente dote finanziaria destinata ai lavoratori del settore per gli aumenti contrattuali contenuta nella Legge di Bilancio 2021. Anche in questo caso a nostro avviso si tratta di un sussulto corporativo sbagliato in una fase in cui il Paese è tormentato dalla crisi economica generata dalle sue debolezze ed acuita dalla seconda fase della pandemia e milioni di persone sono prive anche dei più elementari mezzi di sostentamento, avendo perso il lavoro o, avendo il proprio reddito tagliato dalla riduzione dei consumi indotta dai vari lockdown, parziali o generali. Proprio i lavoratori del pubblico impiego, che hanno dato prova di grande slancio e di enorme consapevolezza, operando spesso in condizioni di sicurezza precaria e non lesinando di mettere in campo sacrifici importanti (come nel caso della polizia, della sanità, della scuola, ecc.) sono però l’unica categoria di lavoratori a non avere subito decurtazioni del proprio reddito, non avere avuto periodi lunghissimi di cassa integrazione guadagni e neanche della prospettiva di perdere il posto di lavoro. Invece i sindacati del pubblico impiego incuranti di tutto ciò e anche del rischio di dividere i lavoratori proclamano uno sciopero. Anche in questo caso l’unica voce contraria tra le Organizzazioni Sindacali è stata quella della CONFSAL che, attraverso la dichiarazione del Segretario Generale Angelo Raffaele Margiotta, ha affermato che “Sono mancate adeguate risposte alle istanze e alle attese di insegnanti e operatori scolastici, di medici, infermieri e personale sanitario, di dipendenti delle funzioni centrali e delle autonomie locali, degli operatori della sicurezza e del soccorso pubblico.”
“Ciò nonostante – sottolinea Margiotta – invito le parti sociali al senso di responsabilità e a far proprio l’appello alla coesione del Presidente Mattarella evitando forme estreme di protesta. Chiedo nel contempo senso di responsabilità alla compagine governativa, che deve aprirsi al dialogo ascoltando la voce e le proposte dei rappresentanti dei lavoratori. Quale confederazione sindacale ampiamente rappresentativa, sia nel pubblico che nel privato impiego, la Confsal rinnova al governo la disponibilità a un confronto, la cui mancanza sarebbe indice di un atteggiamento grave e irresponsabile.”
Come si evince dai due comunicati, su due episodi consecutivi, troviamo i sindacati confederali, quelli cosiddetti generalisti, schierati sul versante delle rivendicazioni di settore, quelle che una volta avremmo chiamato corporative ed egoiste, e la CONFSAL, sindacato autonomo di solito collegato a forme di sindacalismo corporativo, schierato su posizioni da Sindacato generale, che tiene conto delle spinte che vengono dalla base, ma non cede supinamente ad esse, ma cerca di indirizzarle tenendo conto della situazione generale.
Che lettura dare a questi fatti? Io penso che il sindacato capace di compiere grandi scelte strategiche oggi si trovi troppo stretto da interessi immediati, quasi che il sovranismo abbia inquinato la sua radice generale. Il comportamento di chi proclami scioperi a cuor leggero, nonostante la situazione drammatica del Paese, non è certo figlio dei Trentin, Lama, Benvenuto e Carniti capaci di compiere scelte complicatissime in momenti decisivi per il Paese, come fu negli anni ’80 con gli accordi Scotti e quello sulla scala mobile, o negli anni ’90 con gli accordi col Governo Ciampi e quelli sulla riforma pensionistica. Non solo non ne è filiazione diretta, ma forse non è neanche un lontano parente.
In momenti drammatici fu il Sindacato prima ancora della politica ad assumersi il peso di scelte che hanno permesso al Paese di superare crisi economiche di portata, mentre ora il sindacalismo confederale rifiuta di assumersi un ruolo da protagonista per contribuire a uscire dalla crisi economica provocata dalla pandemia, ma rincorre i COBAS su posizioni estreme e spesso irresponsabili.
Questo va di pari passo con la mancata comprensione delle novità che scuotono la società, rifugiandosi in difesa rispetto ai cambiamenti epocali in atto. Basta considerare che sullo Smart Working, per esempio, il sindacato confederale cerca di portare avanti istanze secondarie (buoni pasto, pagamento del collegamento internet, ecc.) e non di favorire il fenomeno accompagnandolo da una nuova edizione di diritti e doveri per il lavoratore. O ancora basta vedere l’atteggiamento retrivo che ha il sindacato confederale rispetto a nuovi lavori, come quelli dei riders, che necessitano diverse tutele da quelle tradizionali e che invece il sindacalismo confederale (e anche il ministro Catalfo) cercano di forzarli dentro a schemi conosciuti e non attuali per quel tipo di lavoratori.
La CONFSAL invece sta tentando di esplorare strade nuove per immettere nuove tutele corrispondenti ai tempi che corriamo senza riproporre vecchi schemi del passato, che non sono più adeguati. Ad esempio stiamo sollecitando il Governo ad abbandonare al più presto la logica emergenziale della Cassa Integrazione a perdere e dei blocchi per legge dei licenziamenti, ma di riordinare le varie entità che gestiscono spesso male le politiche attive del lavoro, destinando risorse più adeguate a queste nella legge di bilancio 2021 (solo 500 milioni a fronte dei 5 miliardi per la Cassa integrazione Covid) e chiediamo che venga istituito l’istituto del Preavviso Attivo di Licenziamento, che coinvolga il datore di lavoro a ricercare un nuovo posto di lavoro a chi oggi, purtroppo, rischia di perdere il proprio posto di lavoro. E’ solo un esempio, ma ce ne sarebbero molti altri, a partire dalla necessità che la riforma fiscale non venga rinviata al 2023 e si dia corso da subito con questa legge di bilancio, ad un vigoroso ampliamento dell’area NO TAX, abolendo finalmente la odiosa tassa sulla povertà.
Al di la dei singoli aspetti resta una riflessione generale: io penso che i segretari generali di CGIL-CISL-UIL debbano smetterla di pensare di essere i soli depositari della tutela dei lavoratori dipendenti ed anche dei pensionati, che in Italia esiste oggi un pluralismo sindacale che potrebbe arricchire le loro iniziative con proposte generali e innovative e che sarebbe opportuno che si aprisse al più presto un dibattito sul ruolo del sindacalismo confederale nella società che cambia, a partire dagli assetti contrattuali privilegiando la contrattazione decentrata rispetto all’obsoleto modello centralistico fondato sul contratto nazionale e che si tenga conto nel giudizio della rappresentatività non solo del freddo dato numerico, ma della qualità dell’apporto che ciascun sindacato, a pari dignità, porta al dibattito generale.
In assenza di questo io vedo che il sindacato confederale è sempre più destinato ad essere relegato alla tutela dei diritti corporativi dei maggiormente tutelati, spesso in spregio ai diritti che non hanno la stragrande maggioranza di precari, giovani disoccupati, donne e delle sempre più numerose categorie che oggi non hanno nessuna tutela rispetto allo sfruttamento. La CONFSAL è un sindacato pronto ad affrontare questa sfida.
Articolo su il Diario del Lavoro