L’Italia va al rallentatore

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Roberto Di Maulo segretario generale Fismic Confsal

L’allarme lanciato dal segretario generale Fismic, Roberto Di Maulo
L’Italia va al rallentatore
Il rischio è non continuare l’iter delle riforme

La politica rallenta, mentre l’Italia vuole e ha bisogno di camminare. All’Italia servirebbe al più presto un governo per “affrontare le sfide di oggi e, soprattutto, quelle del domani”. Il segretario generale Fismic Confsal Roberto Di Maulo esprime la sua preoccupazione per il fermo che l’indecisione politica sta causando al nostro Paese. Il dibattito sulla formazione del nuovo governo ha oscurato infatti numerosi temi di economia e finanza internazionale, dati che sollevano preoccupazione per quello che si dovrà affrontare.

I dati sull’economia europea e italiana, seppur positivi per il nostro Paese, fanno emergere uno scenario generale non del tutto roseo. La ripresa economica del 2017 (+ 1,5% circa) rischia di svigorirsi già a partire da quest’anno. La nostra economia sarebbe cresciuta, in linea con le previsioni del governo, ma forse un decimale in meno di quelle degli istituti indipendenti. Il 2017 è stato l’anno con il maggiore tasso di crescita dal 2010 a conferma di quanto lento sia stato l’aggancio alla ripresa dell’Italia. Ora, a fronte di uno scenario politico deludente, l’Italia rischia di non riuscire a continuare il percorso di crescita registrato a seguito delle riforme strutturali a partire dal 2015.

Rischiamo di essere il fanalino di coda dell’Europa. A confermarlo la rielaborazione del Financial Times dei dati pubblicati dal World Economic Outlook che indicano come la Spagna abbia sorpassato l’Italia in termini di Pil pro capite con una previsione futura che la Spagna, nel 2022, più ricca dell’Italia del 7%. Da ulteriori fonti apprendiamo che “Pil pro capite dell’Italia è oggi pari 106, il che significa che l’Italia è praticamente ferma da quasi un quarto di secolo. Tutti gli altri paesi dell’Ocse hanno fatto meglio, compresa la disgraziatissima Grecia che sta a quota 116. L’Eurozona tolta l’Italia sta a quota 135, che corrisponde a una crescita media annua dell’1,4%, all’incirca uguale a quella degli Stati Uniti”. Sulla percentuale di crescita del Pil il Fondo monetario internazionale vede l’Italia superata da Germania (+2,5%), Francia (+2,1%), Spagna (+2,8%) e anche Grecia (+2%). Campanello d’allarme dal Fondo monetario internazionale anche sul debito che nel mondo ha raggiunto “massimi storici, essendo arrivato al picco record di 164mila miliardi di dollari nel 2016, equivalente al 225% del Pil mondiale”. In aggiunta, il rapporto di aprile del Fondo monetario internazionale conferma le previsioni positive di crescita ma desta preoccupazione per i dati 2018 su produzione industriali, immatricolazione di auto e previsioni dei manager che sono in frenata, in Italia e in Europa.

Inoltre, secondo l’Eurostat, mentre l’Europa segna un nuovo picco dell’occupazione nell’anno 2017, l’Italia finisce penultima tra i 28 Stati membri per il livello di impiego, ancora troppo basso, e per il divario uomini-donne, ancora troppo ampio.  Sul campo dell’istruzione, sempre l’Eurostat riporta il dato negativo: meno di una persona su sei tra coloro che sono in età da lavoro ha la laurea in Italia, il secondo dato peggiore in Europa dopo la Romania. Lo scenario economico e produttivo italiano può essere quindi riassunto con un dato positivo di crescita, ma lento e di scarsa qualità.

Sono in molti che ora si chiedono quale sarò il futuro della nostra economia, a livello nazionale e a livello globale. Al momento si registrano visioni contrastanti tra chi si pronuncia su previsioni rosee e in continua crescita e chi, invece, lancia l’allarme di preparazione a una nuova crisi. Cosa fare quindi in questi casi? Come scrive Massimo Calvi: “Nel calcio si usa dire che un buon attaccante deve essere ottimista, mentre un difensore è bene che tenda a essere pessimista. La paternità di questa lezione non è chiara, ma rende bene l’idea di quello che dovrebbe essere un approccio corretto anche in campo economico. Il concetto è che si dovrebbe imparare a sfruttare al meglio le proprie risorse, evitando di accomodarsi sulle difficoltà o sui facili vantaggi del momento”. In linea di massima possiamo dire che si stanno registrando andamenti economici globali positivi, ma che molto probabilmente non dureranno nel lungo termine.

In questo contesto, l’incertezza politica Italia non fa che peggiorare le cose. Il problema dell’Italia infatti non è l’economia, è la politica. Il lento aggancio alla ripresa e l’attuale situazione di stagno sono tutta questione di politica e amministrazione. Non è un caso che il governo uscente di Gentiloni si sia ritrovato ad approvare un Def che certifica solo l’attuale fase di ripresa del Paese ma non indica le riforme da farsi per il futuro. Usando le parole spesso pronunciate dagli economisti, non dobbiamo dimenticare che i mercati sono sempre fatti da essere umani e presuppongono strutture politiche, e che quindi la politica ha il primato; una corretta scienza economica deve quindi tenere in considerazione tutto: la politica, i mercati, gli sviluppi storici e le prassi commerciali.

Il nostro Paese non può permettersi ritardi nelle riforme, servirebbe un governo stabile e soprattutto servirebbe un governo che punti all’Europa e alla coesione sociale. Lo stesso Fondo monetario internazionale sostiene che “l’incertezza politica aumenta i rischi per l’attuazione delle riforme o la possibilità di modifiche all’agenda di governo” prevista. Tenendo presente che il fantasma dell’aumento del debito è dietro l’angolo, è imperativo, al momento di un contesto di ottimismo nei mercati finanziari, garantire la resilienza finanziaria. Questa può essere garantita solo in presenza di un governo stabile che attua riforme responsabili.

Chi scommette contro l’Europa, scommette contro la crescita del nostro Paese. Inoltre le soluzioni per una continua crescita stabile non possono raggiungersi attraverso il peggioramento della situazione debitoria dello Stato italiano.  “Guardiamo quindi all’Europa e rimettiamola al centro. Servirebbe una nuova prospettiva che guardi all’Europa di crescita, di opportunità, non solo l’Europa dell’austerità e delle regole” dichiara il leader Fismic Di Maulo designato vice presidente della confederazione europea dei sindacati indipendenti (CESI). Secondo la maggioranza degli economisti, l’Italia soffre perché le riforme di questi anni non sono state sufficienti a rimettere in moto il motore imballato dell’economia. E ora, nel nostro Paese, l’unica percezione è quella di un fermo sulle riforme e la tentazione da parte di alcuni di tornare indietro chiudendo all’Europa. Di Maulo invece avverte che “su questa strada la situazione sociale calerebbe nel caos, la condizione dei conti pubblici diverrebbe ancora più precaria e ci troveremmo difronte ad un’ulteriore crisi economica”.

Trovare la giusta squadra istituzionale non è di certo compito facile, ma le tempistiche per la formazione di un governo stabile sono importanti. Bisogna sfruttare il momento attuale per attuare le riforme a beneficio di tutti. Se si continua a rimanere in una situazione di stallo l’Italia non sarà in grado di cavalcare l’onda del cambiamento, quello positivo e costruttivo di cui abbiamo bisogno, non di certo quello disfattista il cui unico scopo è quello di demolire quello che è stato fatto anziché migliorare quello che c’è. “Di certo la stabilità di un governo non può essere dettata solo dal raggiungimento dei numeri in Parlamento e quindi facciamo appello al senso di responsabilità” spiega Di Maulo.

L’Italia può e deve crescere. La crescita, quella di qualità e non solo di numeri, può avvenire nel nostro Paese solo se riusciamo a rispondere al forte richiamo alla responsabilità sociale. Mettiamo da parte bisticci e prepotenze, pensiamo ai reali bisogno del Paese. Cerchiamo soluzioni fattibili che creino i presupposti per aumentare la produttività, migliorare le condizioni dei lavoratori, accrescere le competenze e diminuire le disuguaglianze. Questo è quello di cui ha bisogno l’Italia. Questo è quello che si può raggiungere attraverso politiche di convergenza con l’Europa e riforme strutturali che allentino la pressione fiscale e che investano in formazione, istruzione e piani scuola-lavoro più incisivi. La risposta quindi non può trovarsi in politiche di chiusura o in manovre che aumentano il debito. Dobbiamo essere un Paese più forte, più democratico e soprattutto più responsabile se si vuole essere un paese migliore.  L’Italia chiede di muoversi, mentre al momento l’unica cosa che le forze politiche stanno dimostrando è quello di essere di ostacolo alla nostra crescita.

Articolo su ItaliaOggi 01-05-2018
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