Fondi Ue, Italia a rischio

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L’instabilità politica ci esclude dai negoziati

Tutti preoccupati per le politiche del futuro governo italiano. L’Europa richiama su conti pubblici, immigrazione e patto di stabilità, mentre il nostro Paese è ancora alle prese con i capricci dei cosiddetti vincitori (autoproclamati) delle scorse elezioni del 4 marzo “avendo superato i due mesi senza alcuna prospettiva di governo e avendo presentato un Def tecnico basato esclusivamente sui dati di contabilità nazionale, come noi – sindacato Fismic – avevamo ampiamente previsto e discusso” dichiara il segretario generale Fismic Confsal e designato vicepresidente della confederazione europea dei sindacati indipendenti (CESI) Roberto Di Maulo.

La confusione e l’incertezza politica rischiano di frenare il nostro Paese e anche il sindacato lancia l’allarme. In Europa, con la presentazione delle proposte della Commissione per il bilancio europeo 2021/2027, si sono aperti due tavoli di negoziato fondamentali che in sostanza definiscono un nuovo ruolo per l’Unione Europea nei prossimi anni. L’Italia non può permettersi di rimanere fuori da tali discussioni.

Abbiamo intervistato il vicepresidente CESI Roberto Di Maulo per capire le implicazioni che l’instabilità politica sta causando a livello nazionale ed europeo.

Domanda. Qual è la preoccupazione del sindacato?

Risposta. La preoccupazione del sindacato è quella di un forte rallentamento che potrebbe non portare il nostro Paese ad agganciare la ripresa. Questo è un argomento che ci riguarda da vicino. Larga parte dei possibili comportamenti dei singoli cittadini e delle istituzioni italiane ne saranno condizionati, in quanto l’Europa sta disegnando il futuro degli stati membri sia dal punto di vista economico che da quello politico. Anche per questo, sono sempre più forti i timori sul presente dell’Italia in sede europea.

Da cosa derivano questi timori

Nello specifico, uno dei due partiti che sta discutendo la formazione di un esecutivo, la Lega, afferma esplicitamente che si può non tener conto del pareggio di bilancio previsto dalla costituzione italiana e dei vincoli finanziari prevista dalla moneta unica. L’altro, il M5S, diplomaticamente non lo afferma con la stessa arroganza della Lega, ma di nascosto lo sogna, a giorni alterni.

Qual è la sua analisi dei due tavoli di negoziato che si sono aperti in sede di Commissione Europea?

Analizzando il merito dei due tavoli: Sul primo, quello economico, c’è innanzitutto da fare i conti con le conseguenze provocate dalla Brexit sul bilancio europeo. L’uscita della Gran Bretagna vale circa 13-14 miliardi in meno e gli Stati membri devono quindi decidere se e come compensarli con risorse ulteriori da destinare all’Europa, o con quali tagli fronteggiare il buco. Il secondo tavolo, quello politico, soprattutto portato avanti dall’alleanza, sempre più forte, tra la Merkel e Macron concerne la discussione di sganciare dal nucleo forte dell’Europa i Paesi economicamente più deboli. A questo punto avremmo un Europa a tre velocità.

Ci spieghi meglio

Lo scenario è di tre aree europee che viaggiano appunto a diversa velocità: l’area dell’Euro forte saldamente presidiata dalla Francia, Germania, Spagna, i Paesi ex-Benelux, Svezia e Finlandia. L’area del Mediterraneo debole dove si trova l’Italia insieme a Portogallo, Grecia e Malta. E infine, l’area del blocco est, sempre più caratterizzata da insostenibili politiche sovraniste per quanto riguarda le uscite e che invece acquisiscono più assistenza in entrata dall’Europa. A questo punto, sullo sfondo rimane il grande interrogativo del dopo Draghi ossia la possibilità o meno per il futuro di avere il rombo a suon di milioni di euro del bazooka Draghi a sostegno dei debiti sovrani. Debiti che sono stretti in una morsa imposta dalle scelte repubblicane, dall’innalzamento del tasso di costo del denaro negli USA e dalla guerra commerciale, ormai inaugurata, dai dazi di Trump.

Cos’è quindi che la preoccupa maggiormente?

La preoccupazione più grande è che tutte queste questioni, fondamentali, sono del tutto avulse dalle considerazioni dei freschi “statisti” che stanno discutendo un improbabile programma nazionale che, se non viene inserito in un contesto globale o almeno europeo, rischia di durare come un gatto in autostrada. Sicuramente, dalle proposte della Commissione Europea ci sarà per l’Italia una forte riduzione della spesa europea a sostegno dell’agricoltura e delle politiche di coesione. Mentre, finalmente, il tavolo politico per la stabilizzazione dell’eurozona sembra aver preso in considerazione la possibilità di condizionare l’elargizione dei fondi strutturali europei a rispetto dello stato di diritto dell’accettazione (da parte dei singoli Paesi) della quota immigrati che spetta a ciascun Paese sulla base decisionale europea. Brutte notizie per Orban e per paesi come la Polonia che hanno innestato politiche sovraniste nella distribuzione, acquisendo invece forti finanziamenti in entrata dai fondi strutturali europei. L’Europa infatti è fondata su principi di democrazia liberale di cui uno dei valori fondanti è la separazione e il bilanciamento dei poteri. L’inconsistenza del peso politico italiano in questa fase, rischia di vederci assenti nel poter rivendicare un cambiamento del trattato di Dublino sull’immigrazione. I Paesi del gruppo balcanico hanno ‘risolto’ il problema della gestione del primo impatto dell’immigrazione clandestina con l’innalzamento dei muri. La difficoltà resta quindi tutta sulle spalle dell’Italia e della Grecia che però, per ragioni diverse in questa fase politica, difficilmente potranno avere forte voce in capitolo.

Quali sono le implicazioni della nostra ‘assenza’ nei negoziati europei?

Il fatto che si riducano le spese apre un altro capitolo particolarmente critico per l’Italia sul versante dell’agricoltura. Mentre per i paesi dell’Est sul versante della riduzione delle spese per la coesione ai quali si aggiunge il già citato criterio di selezione che riguarda l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Sempre nel bilancio europeo 2021/27 cresce l’attenzione per la digitalizzazione dell’economia, per gli investimenti ambientali, per le reti di scambio dati ad altissima velocità e per la sicurezza e protezione delle frontiere. Su questi temi e, in particolare per i primi due, l’impronta politica è stata data dal presidente francese Macron subito accolto dal cancelliere tedesco Angela Merkel. Lo scenario è quindi noto e non può non preoccupare il sindacato italiano e quello europeo. Quella che si delinea è una situazione in cui si traspare una sostanziale esclusione dell’Italia dalla destinazione di ingenti risorse che invece aiuteranno ulteriormente l’economia francese e tedesca. In particolare, riteniamo che si debba tenere ben a mente il programma di modernizzazione della Francia (portato avanti da Macron) che ha come obiettivo il portare il Paese transalpino ad essere la seconda potenza manifatturiera del continente a danno del nostro Paese che quel posto lo occupa stabilmente da almeno un ventennio. Se i tassi di crescita italiani continuano ad essere neanche la metà di quelli della media europea, ben difficilmente si potrà recuperare il gap esistente in termini di produttività, ricchezza e, soprattutto, occupazione.

Articolo su ItaliaOggi del 22 maggio 2018
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