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Roberto Di Maulo segretario generale Fismic Confsal

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“Sul tema lavoro, come su altri temi, il contratto di governo rimane poco chiaro”, commenta nella nostra intervista il segretario generale del sindacato autonomo Fismic Confsal Roberto Di Maulo, “manca di progettualità e di una linea precisa verso lo sviluppo di politiche industriali che riescano ad incentivare lo sviluppo del nostro Paese”.

Sono passati più di due mesi dal voto e ancora non abbiamo un governo. Per l’Italia è un momento delicato. Sembra piuttosto evidente che molti tratti che caratterizzano i capitoli del Contratto di governo abbiamo suscitato diverse reazioni, molte delle quali contrastanti. Segretario Di Maulo, qual è la preoccupazione principale del sindacato? “Senza dubbio è un momento delicato per il nostro Paese. Quello che è stato presentato nel contratto di governo è su alcuni aspetti condivisibile, ma rimane debole sulla progettualità delle azioni da svolgere e soprattutto vi è una mancanza di attenzione alle politiche industriali che dovrebbero trainare l’Italia verso sviluppo e occupazione”.

Uno degli aspetti principali che interessa il sindacato è indubbiamente il tema lavoro. Cosa legge Lei nel contratto? “Sul tema lavoro, come su altri temi, il contratto rimane poco chiaro. Vengono citati aspetti come la primaria importanza di garantire una retribuzione equa e condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità che sono poi i principi che ritroviamo in Costituzione e quindi pienamente condivisibili, ma non si delinea un reale intervento sul come si riesca a favorire lo sviluppo economico e, l’occupazione, nel nostro Paese. Viene introdotto il salario minimo di legge senza prevedere però la necessaria riforma del sistema delle relazioni sindacali e della contrattazione indispensabile per modernizzare il Paese. Sulle politiche attive del lavoro, c’è un’attenzione positiva alla formazione finalizzata all’impiego, ma viene sostanzialmente cancellata l’alternanza scuola-lavoro, il che è al quanto contraddittorio. C’è da sottolineare che l’alternanza scuola-lavoro è uno strumento fondamentale per avvicinare i giovani al mondo del lavoro. Uno strumento vincente, soprattutto se affiancato da una buona politica industriale. Inoltre, non si riesce a stabilire come e con quali risorse si possa realizzare quanto contenuto nel documento”.

Quindi il vero nodo dello sviluppo dell’Italia dovrebbe sciogliersi con un programma di politiche industriali serio mentre si denota la mancanza di qualsiasi riferimento alla presenza nel nostro Paese dell’industria pubblica e privata che opera in settori strategici della nostra economia e che compete in Italia e all’estero. “E manca soprattutto un riferimento esplicito alle politiche attive del lavoro come propulsore dello sviluppo industriale e, di conseguenza, dell’occupazione. Occorrono scelte e investimenti pubblici per stimolare e attrarre gli investimenti. Investimenti che possano migliorare le infrastrutture e un focus attento su ricerca e formazione di qualità. Nel contratto è inoltre prevista sostanzialmente la chiusura dell’Ilva, con un’impossibile salvaguardia dei livelli occupazionali che non si capisce in che modo possa avvenire, se non attraverso un aumento della spesa pubblica a fini assistenziali. In questo momento in Italia c’è un estremo bisogno di acciaio e la chiusura dell’Ilva non farebbe che peggiorare la nostra bilancia dei pagamenti. Inoltre, l’importazione dell’acciaio avverrebbe in una economia globale fortemente destabilizzata dai dazi reciproci di Usa e Cina” commenta il segretario.

Sembra che si stia delineando una linea di governo che rischia quindi di indebolire la nostra economia con la mancanza di una ricetta per lo sviluppo di una buona cultura dell’impresa. Un altro tassello di rilevante influenza, in questo scenario, è la posizione dell’Italia rispetto all’Unione Europea. Cosa ne pensa? “Non dobbiamo dimenticare che l’Italia è la seconda potenza manifatturiera in Europa. La mancanza di un progetto di sviluppo delle politiche industriali rischia di farci perdere la nostra posizione con tutto ciò che ne consegue. Non possiamo immaginare il mercato del lavoro senza tenere conto delle dinamiche europee e intercontinentali. Per garantire lavoro e occupazione, il governo dovrebbe puntare ad accrescere il nostro potenziale competitivo e questo è possibile solo attraverso una politica industriale lungimirante. Osservando anche il settore dell’agricoltura e della pesca, nel contratto è condivisibile la protezione del Made in Italy, ma si evita di fare i conti con il taglio certo che il Bilancio Europeo sarà costretto ad attuare in seguito alla Brexit, che inciderà di circa il 5% sulle spese comunitarie in agricoltura, riducendo le risorse dedicate alla PAC. La preoccupazione è quella che ci sia una chiusura verso l’Europa che potrebbe influenzare negativamente la posizione dell’Italia in un mercato del lavoro in cui già bisogna muoversi con cautela e intelligenza strategica. Inoltre quello che mi lascia perplesso è come nel contratto si chieda il ritorno al trattato Maastricht senza tenere conto dei 26 anni passati e del fatto che in sede comunitaria è in corso di ridefinizione, con la discussione della legge di bilancio che si concluderà il 29 giugno, dei nuovi equilibri europei. Per capire cosa si intende citiamo integralmente quanto contenuto nel contratto ‘sotto il profilo del bilancio UE e in vista della programmazione settennale imminente occorre ridiscuterlo con l’obiettivo di renderlo coerente con il presente contratto di governo’, ovvero quando il piccolo vuole fare paura al grande”.

Appare evidente il problema della gestione dei costi, delle risorse e delle varie coperture finanziarie. “Ci sono molti campi per i quali non si evidenziano in modo chiaro i costi e le relative coperture. Leggendo quanto scritto sulla flat tax per esempio, non è assolutamente chiara la copertura dei circa 50 miliardi di euro l’anno necessari per finanziare la manovra. Inoltre, per come è stata prospettata, la flat tax rischia di diventare una tassa sul lavoro in quanto punisce a parità di reddito annuo le famiglie plurireddito rispetto a quelle monoreddito ed è una evidente regalo fatto ai redditi alti, mentre i redditi bassi e medio bassi avranno dei benefici nulli o marginali. Sempre sul fisco, la pensata di reintrodurre un nuovo condono fiscale, non ci sembra degna di un governo cosiddetto del cambiamento. Su Iva e accise, non è scritto attraverso quali coperture finanziarie (circa 15 miliardi l’anno la stima) per evitare il previsto aumento. Il risparmio sulle accise per il consumatore di circa 16 centesimi al litro produrrà un buco all’erario di 2 miliardi l’anno e, anche qui, non si capisce quale sia la copertura finanziaria”.

Cosa ne pensa del reddito di cittadinanza? “Innanzitutto è forse non tecnicamente corretto chiamarlo reddito di cittadinanza, in quanto questo termine indica un sostegno del reddito incondizionato ed esteso a tutti, occupati e disoccupati, indipendente dal reddito, per il solo fatto di essere cittadini. Quello che viene chiamato reddito di cittadinanza è invece un’estensione della platea dei beneficiari del già esistente reddito di inclusione. L’unica certezza contenuta in questo capitolo è nell’aggravio di due miliardi di euro per il potenziamento dei centri per l’impiego. Tutto il resto è un generico potenziamento, senza specificare ovviamente quali sono le coperture finanziarie di tale manovra e dell’innalzamento delle pensioni minime a 780euro mensili. Sempre per le pensioni cosiddette di cittadinanza, essendo richiamati i parametri del reddito di cittadinanza, probabilmente si pensa di far tornare al lavoro gli ultra ottantenni”.

Qual è invece la sua lettura di quanto scritto sulle pensioni? “Mi sembra un inganno aver definito quota 100 e 41 anni di anzianità contributiva, senza specificare se chi sceglie questa possibilità passa automaticamente dal regime misto o retributivo a quello contributivo (come era la precedente proposta di legge Sacconi-Damiano), ricevendo di conseguenza una gravissima penalizzazione economica. Infatti, gli estensori del contratto prevedono che il costo di questa operazione sia solo di cinque miliardi l’anno, mentre Boeri afferma che tale manovra costerebbe 13miliardi il primo anno e 20miliardi l’anno a regime. Questo è possibile solo con la penalizzazione economica per chi sceglie quota 100. Inoltre, c’è da tener presente il consistente aggravio che avverrà nel primo anno di messa a regime di tale sistema pensionistico. Inoltre, non si fa traccia dei nuovi sistemi introdotti dal recente Def (ape sociale, volontaria, RITA, etc.) e il prolungamento di opzione donna è solo sperimentale e, se esistono risorse”.

Riportando le parole del presidente della Corte costituzionale Zagrebelsky che ritiene che sarebbe più opportuno chiamare il contratto un ‘patto di potere’, dato che ‘contratto’ non sembra corretto visto che sembra dare una parvenza di vincolo giuridico che in realtà non può esistere. A tal proposito, c’è chi giudica il ‘contratto’ come anti costituzionale. Lei, segretario Di Maulo, cosa ne pensa? “Diciamo che la dubbia costituzionalità si scatena partendo dall’introduzione di un organo del tutto esterno e non eletto che sostituisce i poteri del parlamento e del governo. Il comitato di conciliazione, questo organo esterno, appare superiore e parallelo minando il potere decisionale delle istituzioni esistenti. Il capitolo del conflitto di interesse appare generico e indefinito, soprattutto in relazione ai parlamentari se applicato come scritto si corre il rischio di limitare il diritto dell’elettorato attivo e, di conseguenza, solleva dubbi di costituzionalità. Inoltre c’è la volontà di introdurre il vincolo di mandato, esplicitamente vietato dalla nostra Carta Costituzionale appena confermata dal voto popolare del 4 dicembre 2016”.

In conclusione “un contratto che manca di progettualità finalizzata allo sviluppo economico, aumenta l’iniquità fiscale a carico dei ceti medio-bassi, aumenta il deficit pubblico, manca completamente di copertura finanziaria e rischia di compromettere i rapporti con l’Unione Europea mettendo in discussione gli ultimi settanta anni di scelte internazionali del Paese che hanno garantito il periodo di pace più lungo della storia”.

Articolo pubblicato su ItaliaOggi del 29 maggio 2018.
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