Fismic pro rinnovamento. Sostegno alle forze riformiste ed europeiste

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Il segretario generale Roberto Di Maulo sullo scenario politico
Sostegno alle forze riformiste ed europeiste

“La battaglia di civiltà che ci aspetta e quella dalla quale il sindacato dei lavoratori, pur mantenendo la sua autonomia dalle forze politiche, non può tirarsi indietro” lo dichiara il segretario generale del sindacato autonomo Fismic Confsal Roberto Di Maulo nell’intervista che esplora la posizione del sindacato in questo periodo politico sociale molto delicato per il nostro Paese. La gravità della situazione politica continua a destare preoccupazione in un momento in cui sarebbe indispensabile un’azione seria tesa a consolidare l’aggancio alla ripresa economica. Uno scenario politico che non lascia indifferente nessuno, in particolare le parti sociali.

Domanda. Segretario, esaminando la situazione politica italiana, qual è la sua opinione sulla vittoria dei partiti sovranisti alle elezioni?

Risposta. Anzitutto ridimensioniamo le due parole vincitori e sovranisti. Il sistema elettorale italiano, per quanto io non mi trovi d’accordo, è un sistema largamente proporzionale che elegge due camere e quindi per natura stessa costringe i partiti a fare delle alleanze per poter governare. I due cosiddetti vincitori, M5s e Lega, hanno ottenuto il 32 e il 17percento dei voti e, quindi, non possono definirsi vincitori. Per quanto riguarda invece il sovranismo, cioè la capacità di una singola nazione di auto governarsi in modo autonomo dal contesto, devo dire che è una pia illusione. Oggi viviamo in un’epoca di globalizzazione e ciascun Paese dipende dall’altro. Non siamo autonomi noi che dipendiamo e facciamo anche parte dell’Unione Europea, non lo è l’Europa che dipende da quante merci acquistano gli americani, non lo è l’America che dipende dal debito pubblico che è in mano ai cinesi, non lo è la Cina che dipende da quante merci acquistano americani ed europei, non lo è la Russia che dipende dagli acquisti di gas dell’Europa, non lo sono i paesi arabi che dipendono da quanti prodotti petroliferi riescono a vendere al resto del mondo e così via andando avanti in un grande Risiko commerciale che è diventato il mondo.

D.Che ne pensa dell’operato del Capo dello Stato?

R.In questo quadro scoprire che il dott. Savona, che era stato scelto come Ministro dell’economia, aveva recentemente scritto che il piano B dell’Italia prevedeva un’uscita unilaterale dall’Euro, senza preavviso all’Autorità monetaria internazionale, stampando 8milardi di nuove Lire che avrebbe lanciato il lunedì mattina con una svalutazione del 30percento rispetto all’Euro accompagnato da un default del debito è sicuramente una prospettiva da incubo per il Paese, ma soprattutto per lavoratori dipendenti e pensionati che sono a reddito. Bene ha fatto il Presidente della Repubblica, esercitando le sue prerogative costituzionali, a respingere la nomina che gli veniva sottoposta in forma di diktat.

D.E del futuro dell’Europa?

R.Anzitutto, bisogna precisare che l’Unione Europea ci ha dato oltre 60 anni senza guerra e questa è un aspetto positivo considerato che quella che oggi chiamiamo Europa non aveva mai trascorso un periodo così lungo di pace. Inoltre, l’Italia è un paese fondatore dell’Unione Europea il cui trattato è stato firmato proprio a Roma e, nonostante la rigidità finanziaria troppo forte negli anni successivi alla grande crisi mondiale del 2008, è stata per il nostro paese fattore di stabilità e di costante crescita economica. Certamente l’Europa va profondamente riformata passando, per dirla con uno slogan, dall’Europa dei banchieri all’Europa dei popoli.

D.Come si può allentare la stretta creditizia sul nostro Paese?

R.Prima di tutto, c’è da considerare che l’Italia ha il secondo debito pubblico più alto d’Europa e che deve emettere circa 480miliardi di titoli di Stato ogni anno per poter sostenere la nostra economia. Questi generano interessi che saranno tanto più alti quanto minore è la stabilità politica. Mentre parliamo infatti lo spread è cresciuto del 100percento rispetto alla situazione lasciata dai governi Renzi e Gentiloni e che gli interessi sul debito pubblico passeranno dagli attuali 75miliardi l’anno allo sfiorare i 100miliardi, sempre che la situazione politica non degeneri ulteriormente. Questo significa che non possiamo fare le cicale mentre arriva l’inverno e che, su ogni famiglia, la crisi politica sta pesando per migliaia di euro l’anno. Di questo bisogna tenere conto quando al momento di entrare nell’urna elettorale. Non basta credere a promesse irrealizzabili (reddito di cittadinanza, flat tax, etc.), ma serve impegno, coerenza e serietà per dimostrare che anche noi italiani possiamo concorrere ad un’Europa migliore.

D.Quindi?

R.Minori sprechi di risorse pubbliche, più efficienza, maggiore produttività e maggiore impegno per dare sviluppo alle aree maggiormente depresse del Paese, come il Sud. Non serve chiudere l’Ilva come nelle intenzioni del cosiddetto contratto di governo, ma occorrono dieci, cento “Ilva” che sul modello di Pomigliano e Melfi producano occupazione stabile, una manifattura rispettosa dell’ambiente e della sicurezza, capace per la sua produttività e operosità di attrarre investimenti produttivi che creino occupazione e sviluppo.

D.Al Paese occorre seguire l’esempio di Macron o di Maduro?

R.La cosa più sciocca detta dal cosiddetto contratto di governo, nella prima stesura, era la richiesta di cancellazione di 250miliardi di debiti provocati dall’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce voluti da Draghi. Se quel debito fosse cancellato, la Banca d’Italia e non la Bce, rimarrebbe priva di qualunque risorsa per poter pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, far accendere le centrali elettriche e nessuna risorsa per investimenti per le infrastrutture. All’improvviso, come il Venezuela di Maduro, terzo produttore al mondo di derivati petroliferi, saremmo tutti nella povertà a scendere in piazza. E’ chiaro quindi che l’esempio da seguire arriva dai cugini transalpini ossia un fronte europeista forte, vincente e convinto che avvii una politica di riforme istituzionali. Riforme come quella fermata in modo improvvido dalla vittoria del voto negativo al referendum del 4 dicembre del 2016. Riforme che siano in grado di modernizzare il Paese, di far crescere la produttività del lavoro e l’efficienza della pubblica amministrazione. Questa è la strada per far sentire la voce dell’Italia in Europa. Ed è una strada che non ha alternative che non siano quella populista e sovranista.

D.Che succederà nei prossimi mesi?

R.Questa è la battaglia di civiltà che ci aspetta e quella dalla quale il sindacato dei lavoratori, pur mantenendo la sua autonomia dalle forze politiche, non può tirarsi indietro. La Confsal ha lanciato la sua sfida per una nuova civiltà del lavoro, per l’impresa solidale, per l’efficienza della pubblica amministrazione e queste sono battaglie che, di fatto, ci fanno scendere in campo a sostegno delle forze riformiste ed europeiste in una lotta che nei prossimi mesi sarà cruciale per il destino dell’Europa degli anni futuri. Come organizzazione sindacale faremo la nostra parte, cioè quella dei lavoratori, disoccupati e pensionati contro i costruttori di illusioni e fake news.

Articolo su ItaliaOggi del 05 giugno 2018
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