ALL’ITALIA SERVE IL DIALOGO

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LE PARTI SOCIALI NON VANNO ESCLUSE MA COINVOLTE
Il sindacalista Giorgio Benvenuto commenta l’attuale scenario politico

“Oggi, nel nostro paese abbiamo bisogno della capacità di non parlare pensando solo al voto, ma di pensare a governare perché quando uno governa deve valorizzare i rapporti anche con le altre realtà. Il paese ha bisogno di coesione pur avendo ed essendo consapevoli di opinioni e posizioni diverse o contrastanti”. Sono le parole di Giorgio Benvenuto sindacalista, politico e giornalista esperto sulle questioni del lavoro e del fisco nell’intervista rilasciata alla Fismic Confsal.

Domanda. Le parole sono importanti e bisogna pensare prima di parlare. Non poco scalpore è stato scaturito dal linguaggio utilizzato dal ministro Di Maio che addita gli autori del Jobs Act come ‘assassini politici’. Proprio lui che presiede un ministero la cui storia è stata profondamente segnata da reali assassinii politici. Cosa ne pensa chi quel periodo storico lo ha vissuto in prima linea?

Risposta. Io penso che questo fa parte di un mal costume, di un metodo che io non condivido. Io sono convinto che il dialogo avvenga su delle argomentazioni fatte non da insulti, ma discusse in democrazia. Mi piace ricordare ciò che spesso diceva Pertini nel citare uno dei concetti base della democrazia, ‘disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo’. In un Paese di consolidata democrazia come l’Italia, più che fare una gara agli insulti bisogna, nell’affrontare i problemi, discutere senza ricorrere a questi giudizi che di certo non aiutano a risolverli e nemmeno a capire quali sono le possibilità di trovare delle soluzioni che reggano nel tempo, che siano costituite e possibilmente condivise.

D. Si ha la sensazione che non si stia vivendo un periodo di (miglior) cambiamento. Un momento in cui, specialmente in tema di lavoro, non si intravedono percorsi risolutivi. Di Maio annuncia un nuovo codice del lavoro, forse l’ennesima scorciatoia ai problemi legati al mondo del lavoro?

R.Io sono convinto che i rapporti, il sindacato li deve negoziare. La soluzione migliore sui problemi del lavoro non è quella di pensare che ci sia una legge che di per se crea o uccide i posti di lavoro. Credo che la legge, l’intervento pubblico, sia utile a creare un ambiente nel quale attivare delle discussioni costruttive. E’ evidente che il lavoro si crea più facilmente se c’è una situazione economica di crescita, se c’è una situazione che deperisce è altrettanto evidente che posso fare le leggi più belle di questo mondo, ma le leggi non producono posti di lavoro. Io penso che nel nostro Paese le parti sociali, il sindacato, gli imprenditori, le forze intermedie debbano negoziare e trovare un ragionevole accordo su quelle che devono essere le condizioni del lavoro, le opportunità per valutare il rapporto, un reciproco riconoscimento dei ruoli che sono distinti tra lavoratore e datore di lavoro. Il lavoro è in continua evoluzione e cambiamento. Considerato questo, la legge se entra nei particolari di un rapporto di lavoro, introduce degli elementi di rigidità. Le cose mutano con l’innovazione tecnologica e i cambiamenti, che oggi sono rapidissimi; questo richiede una capacità negoziale tra le parti. Se io devo trovare una opportunità per soddisfare delle domande di mercato non posso aspettare una legge. Devo avere la possibilità di poter negoziare, questo favorisce anche la realizzazione di un compromesso che è un accordo. Quindi, quando sento dire che ci vuole una legge per creare posti di lavoro, penso che sia una posizione ingenua. La legge deve favorire un paese che cresce, che si sviluppa, che fa sì che ci siano delle opportunità, che non premia forme di parassitismo e illegalità. Ci deve essere un ambiente positivo e una politica fiscale intelligente. Invece, oggi, spesso il lavoro è stato reso difficile perché c’è un eccesso di costi che vengono fatti gravare, come spese previdenziali e costo del lavoro, su tutti e due i soggetti. Bisogna rimuovere gli ostacoli, ma la regolazione del contratto di lavoro e le forme di flessibilità e anti-precarietà devono essere il risultato di una trattativa che deve avvenire tra le parti sociali, quindi bisogna favorire il dialogo.

D. Siamo quindi nel pieno di una crisi che riguarda il dialogo sociale. Il confronto tra i vari soggetti è minimo e, prendendo in considerazione i termini e i toni che oggi vengono utilizzati, il livello non può che essere sceso drammaticamente. Questo ha impatti devastanti sulla nostra società che perde così i propri valori e i propri principi. In questo contesto, come possiamo aiutare il nostro Paese?

R.Noi in Italia abbiamo la mania che se abbiamo qualcosa che non va diciamo ‘qui serve una legge’. Noi abbiamo una marea di leggi che poi ingessano il Paese e non danno flessibilità, finiscono per essere un ostacolo. Ecco, direi che il nostro ostacolo oggi sia questa alluvione di leggi. “Facciamo una legge per creare lavoro!”. Io capisco la voglia e il desiderio di creare posti di lavoro, ma invece di prendere una scorciatoia, in questo modo si

arriva in un vicolo cieco. Una volta arrivati al vicolo cieco l’unica cosa che si può fare è tornare indietro. Oggi, stiamo facendo questo. Ritornando all’annuncio di un nuovo codice del lavoro, bisogna ricordare che lo Statuto dei Lavoratori è nato da una vecchia aspirazione, una delle prime richieste della nostra Repubblica. Ma non bisogna dimenticare che lo Statuto fu preceduto dal raggiunto contratto dei metalmeccanici, dall’autunno caldo, nel

quale il sindacato ebbe il riconoscimento per la tutela dei lavoratori, si ristabilì allora con il contratto dei metalmeccanici l’equilibrio tra lavoratori e datori di lavoro. Il Paese si aiuta con l’incoraggiamento a trovare un accordo tra le parti sociali, il governo non si può sostituire alle parti, ma deve creare le condizioni per le quali il dialogo sociale e i negoziati si realizzino.

D.In questo contesto, Lei crede che ci sia bisogno di un approccio diverso?

R. Approccio diverso? No, io penso che siano stati fatti molti errori tra i quali quello di escludere le parti sociali. Le forze intermedie sono fondamentali perché favoriscono un rapporto che perm

ette di togliere una conflittualità che altrimenti finisce per esserci nel Paese. Pensiamo ai problemi dell’Ilva, quando sono stati risolti? Quando sono state chiamate le parti sociali, quando anche il sindacato è stato messo in grado di poter discutere e dare il proprio contributo a trovare un ragionevole compromesso. Sono affezionato ad un meccanismo nel quale le parti sociali vengono responsabilizzate. L’Italia è andata meglio quando si è riusciti a realizzare un confronto tra i soggetti sociali. Nel dialogo sociale, i soggetti intermedi sono degli ammortizzatori. La logica di oggi invece non aiuta.

D. Cosa pensa quindi dei diversi sistemi introdotti rispettivamente dal Jobs Act e dal decreto Dignità? I dati Istat ci dicono che dal 2015 ad oggi, periodo del Jobs Act, si sviluppavano al giorno circa 730 posti di lavoro in più. Dal decreto Dignità la stima invece è di più di 1000 posti di lavoro al giorno persi.

R. Nei decreti emessi, entrambi, ci sono degli elementi da valutare attentamente

. Il problema è che si tende a demonizzare quello fatto prima o fatto da altri. Oggi abbiamo un problema, i nostri giovani preparati vanno all’estero e trovano soddisfazione professionale fuori dal nostro Paese così perdiamo tanta forza lavoro intelligente e giovane, quella che dovrebbe essere la carica rigeneratrice e innovatrice del Paese. Oggi si ragiona troppo sullo scegliere il meno peggio, quando invece bisogna pensare a raggiungere il meglio. Ci vuole la capacità di non pensare solo al voto, ma di pensare anche a governare perché quando uno governa deve valorizzare i rapporti anche con le altre realtà. Il Paese ha bisogno soprattutto di coesione pur avendo opinioni diverse. Sviluppare il futuro di un giovane è sviluppare per lui un posto di lavoro, non dargli un’indennità perché non ha lavoro o di avere un lavoro precario per tutta la vita. Per fare questo non è possibile solo un decreto legge o una buona legge è necessa

ria un’azione più lenta, ma più efficace e più duratura per raggiungere dei risultati. Bisogna quindi fare delle scelte non basate su un pregiudizio di contrapposizione. Governare non significa compiere delle azioni mirate a ricercare il consenso e attribuire colpe ad altri, ma cercare di trovare soluzioni. La nostra storia non deve essere dimenticata. Il nostro, è un Paese che è cresciuto nella misura in cui anche i confronti duri si componevano poi in soluzioni che permettevano di andare avanti. Questo grazie al dialogo tra i soggetti sociali. Oggi protrarre i problemi della competizione non aiuta.

D. Più che nel cambiamento, ci ritroviamo in un tuffo nel passato? L’emblema possiamo ritrovarlo forse nella chiusura domenicale…?

R. E’ un po’ retrograda questa condizione. Noi abbiamo bisogno d

i flessibilità, perché ce lo richiede il nostro nuovo modo di vivere, sempre tutelando chi lavora e soprattutto chi lavora di più e con più fatica. Questo non mi sembra un cambiamento, mi sembra un ritorno al passato. Un irrigidimento che non ci fa andare avanti.Giorgio Benvenuto

Alla luce dell’importante contributo del dott. Benvenuto, il segretario generale del sindacato Fismic Confsal Roberto Di Maulo aggiunge una battuta conclusiva: “Non farò certo una chiosa su quello che ha affermato Benvenuto, che è stato il mio maestro non solo di sindacato, ma anche di vita. Dico soltanto che la sua vita è stata sempre contrassegnata, e lo è ancora, dalla ricerca del consenso, basandosi sempre su due elementi: il continuo rapporto con la base e il costante impegno fatto di studio e di sacrifici anche personali, a vantaggio della collettività. La sua storia che ha segnato profondamente quella del sindacalismo moderno insieme a Lama e Carniti è sempre stata improntata a contare le teste e mai a tagliarle. Se gli attuali governanti prendessero esempio da lui, oppure da Brodolini e Giugni, i padri dello Statuto approvato dopo anni di discussioni e non per decreto legge calato dall’alto, molte del troppo odio che contrassegna oggi la politica non ci sarebbero”.

Articolo pubblicato su ItaliaOggi del 02-10-2018
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