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Roberto Di Maulo segretario generale Fismic Confsal

La compagnia perde troppe quote di mercato

Le perplessità del segretario generale Fismic sul salvataggio

Alitalia, un salvataggio senza futuro. Mentre il paese sta affrontando una crisi economica di gravissime proporzioni (recessione tecnica raggiunta e certezza che nel 2019 mancheremo l’obiettivo di crescita di almeno mezzo punto, produzione industriale meno 7,3% quella di autoveicoli meno 26%, ordini in discesa di oltre il 6% rispetto a un anno fa solo per citare i fatti più evidenti) il governo in carica continua con operazioni di distrazione di massa e quando non può bloccare barconi nel Mediterraneo (operazione semplice, poco costosa perché fatta ai danni di poveretti e molto redditizia in termini di ritorno del consenso elettorale), lancia proclami a dir poco fantasiosi, come la fine della povertà o l’annuncio che quest’anno sarà bellissimo.

Nello sconcerto generale di tutte le persone che hanno senso di responsabilità e un minimo di giudizio critico e non partigiano, si continuano a bloccare gli investimenti infrastrutturali decisivi per lo sviluppo. Emblematico il caso della linea Torino – Lione ad alta velocità che darebbe da subito 50mila occupati in più. In tutto questo, il Mise lancia un’operazione spericolata, costosa e dalla dubbia efficacia su un ritorno alla nazionalizzazione di Alitalia. Dopo avere strepitato per lungo tempo sul cosiddetto aereo di Renzi (che non c’è mai salito sopra una volta) il ministro Di Maio decide che invece che un singolo aereo (che è ancora là dove era due anni fa) lo Stato italiano deve comprarsi tutta Alitalia.

Iniziamo col dire che Alitalia è al quarto tentativo (i precedenti tre miseramente falliti) di salvataggio costati complessivamente alla collettività oltre 9 miliardi e che solo negli ultimi due anni, nonostante due prestiti (ancora non restituiti) di oltre 1,5 miliardi, ha presentato un reddito negativo di 513 milioni di euro nel 2018 e una previsione di perdita di 194 milioni di euro nel primo trimestre di quest’anno (dati desunti dal bilancio dell’azienda).

Mentre Landini e soci si contentano di una generica affermazione che non ci saranno esuberi, noi crediamo che un sindacato serio debba andare al di là degli affidamenti che durano lo spazio di un mattino fatti dal ministro Di Maio (si proprio quello di Ilva sì, Ilva no a giorni alterni). Osservare che un’operazione di risanamento industriale che nasce dall’abbandono dei due più importanti partner (Air France e Lufthansa) e con l’aumento a carico dell’erario pubblico (direttamente Mise e FS) non può non destare grandi interrogativi e preoccupazioni, visti i precedenti fallimenti e dato l’esiguità della forza dei due partner sopravvissuti (Delta e Easyjet) che sono rimasti in gioco esclusivamente con l’obiettivo di mantenere un più alto presidio sulle tratte intercontinentali (Delta) e di non ritrovarsi un concorrente da non potere controllare sui low cost continentali (Easyjet) con quote di possesso di pacchetto azionario comunque di minoranza.

Essendo di minoranza ne consegue che la maggioranza sarà pubblica, il che segnerà un pericoloso balzo al passato (era dal 1984 che Alitalia non era in maggioranza pubblica) e un isolamento nel panorama delle compagnie aeree internazionali sorprendente. Infatti, solo China è pubblica al 53% e la Tap con una quota vicina al 50%, tutte le altre sono rigorosamente private, al massimo con una partecipazione simbolica del capitale pubblico.

Quanto costerà al contribuente italiano l’operazione? Intanto sappiamo con certezza quanto sono costati finora i tentativi di salvataggio finora andati falliti: ogni cittadino italiano ha speso 145 euro per risanare inutilmente Alitalia negli anni e sono andati falli ben due tentativi di creare una cosiddetta bad company, ripulendo ai danni dell’erario la compagnia.

Quindi nel mondo non esistono più quelle che una volta venivano chiamate compagnie di bandiera, con la sola eccezione della China e parzialmente della Tap. Abbiamo speso finora cifre prive di senso in operazioni di salvataggio che sono durate lo spazio di un mattino e ora, col debito pubblico che è ai livelli insostenibili conosciuti, con l’economia in recessione, le opere infrastrutturali necessarie tutte bloccate e un’ecotassa che sta mettendo alle corde l’industria automobilistica del paese, il ministro Di Maio annuncia allegramente che verrà nazionalizzata una compagnia che presenta conti da libri in tribunale!?

Tra l’altro Alitalia perde costantemente quote di mercato sul traffico nazionale, con un ritmo medio del 15% ogni anno (quasi del 50% in tre anni) in un mercato che, nonostante la concorrenza crescente dell’alta velocità, continua a crescere.

Segnaliamo con malcelata ilarità e anche un po’ di legittima arrabbiatura che mentre c’è stato il taglio alla rivalutazione delle pensioni e che andare in pensione con quota 100 diventa problematico per i redditi medio bassi (in considerazione del taglio al rendimento pensionistico fino al 30%) il decretone recente ha innalzato da 3 a 5 euro la quota che paghiamo per ogni biglietto Alitalia per finanziare il fondo pensioni dei piloti, categoria certo non alle soglie della povertà una volta raggiunta l’età pensionabile.

In questo panorama è chiaro che lo Stato italiano metterà gran parte dei soldi, magari tramite un convertendo di quanto rimane del prestito ponte e tramite nuovi finanziamenti del ministero dell’Economia e Finanza.

A lato resta la questione della creazione di una “bad company” nella quale ricomprendere i circa 3 miliardi di debiti nei confronti dei creditori, in buona parte persi, e il prestito ponte che è stato consumato dalle perduranti perdite della compagnia dal momento del commissariamento. Si tratta di 4 miliardi che dovranno essere completamente messi a carico del debito pubblico, al di là delle operazioni di maquillage finanziario

In conclusione, Alitalia, incapace di rimanere competitiva sul mercato, vedrà l’interventismo diretto dello Stato italiano. Riuscirà a complicare i conti della società Ferrovie dello Stato (finalmente quasi risanata) che tramite i soldi dei contribuenti darà vita a una nuova compagnia con – forse – la compartecipazione economica limitata di due soci esteri. Peraltro, questa sembra limitata a 400 milioni complessivi, prezzo certamente conveniente visto che in cambio l’Easyjet avrà il sostanziale controllo degli scali lombardi (già ha un forte presidio su Malpensa che sarà migliorato a loro favore dall’accordo e estenderà la loro capacità di tratte anche su quello di Linate), mentre Delta attraverso la partecipazione in Alitalia aumenterà la capacità competitiva sul ricchissimo mercato nord americano.

Un paese in recessione economica, con disoccupazione crescente, con infrastrutture decisive per il paese bloccate, ma che l’orgoglio di essere l’unico paese al mondo, oltre la Cina, ad avere una compagnia di bandiera. Saranno felici i sovranisti e anche Di Maio, e Landini che avrà soddisfatte le sue richieste di nessun esubero, ma quale sarà il prezzo che dovrà pagare il contribuente? E quanto durerà la festa? Davvero vale la pena questa mobilitazione di risorse per tentare l’ennesimo tentativo di salvataggio di una compagnia non in grado di reggere la concorrenza sul mercato?

Formazione avanti tutta sulle competenze

Dalle mansioni alle competenze. “Il futuro art.18 è l’acquisizione e la certificazione delle competenze” è stato questo il tema della seconda sessione del corso di formazione per quadri sindacali Fismic Confsal. È questa la discussione all’interno del sindacato autonomo per avviare quel cambiamento necessario per una contrattazione di qualità. Al fine della contrattazione di qualità sono stati affrontati i temi rispetto alle competenze non più collegate alla mansione, ma a peculiarità specifiche quali la conoscenza, il saper fare e l’atteggiamento ovvero le caratteristiche intrinseche nella persona che permettono una performance più completa, in grado di affrontare con determinazione i problemi che possono sorgere nella propria attività e non codificabili in una procedura. Il segretario generale Fismic Confsal Roberto Di Maulo ha esposto l’excursus storico della valutazione della professionalità dei lavoratori, partendo da prima del Rinascimento arrivando ai giorni nostri. In questa evoluzione è rimasta fondamentale la valutazione della mansione in un sistema di valutazione che non risponde più alle esigenze dello svolgimento dell’attività lavorativa odierna. L’analisi dei vari metodi di valutazione delle competenze ha portato il secondo relatore, il segretario generale della Confsal Angelo Raffaele Margiotta ad affrontare il tema della competenza, intesa come compositiva ed evolutiva. “Centrale è l’apprendimento e la consapevolezza della conoscenza cognitiva. Un processo che unisce alla biologia dell’apprendimento, il testing delle skills e le capacità messe in atto. Siamo partiti dall’Atlante del lavoro dell’Inapp – ex Isfol, istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche – attraverso il quale è stata ridisegnata la governance delle politiche attive del lavoro. Passando per lo studio della biologia dell’apprendimento, siamo arrivati alle metodologie per l’acquisizione di conoscenza, abilità, compiti e in definitiva competenza sul lavoro” dichiara Margiotta. È stato inoltre affrontato l’adeguamento a livello europeo, analizzando quello che sono le competenze chiave europee definite come capacità trasversali sempre in itinere e che sono la base per permettere la mobilità del lavoro all’interno dell’Europa. Così come prevista dal documento del 2018 che ha riformato quello del 2006 in materia di qualificazione delle competenze nell’UE. “Un momento di alto livello formativo che permetterà al sindacato di essere all’interno del cambiamento come attore attivo e non come spettatore passivo. Questo è il sindacato autonomo Confsal che si spende per una contrattazione di qualità che ponga la persona al centro. Un sindacato composto da esperti, capaci e competenti, in grado di prefigurare un sistema che garantisca un futuro di lavoro dignitoso per tutti i lavoratori e chi lo cerca” conclude il leader Confsal.

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