Una decrescita anticipata? Bisogna mettere da parte l’assistenzialismo e creare un mercato del lavoro reattivo. Secondo i numeri forniti dall’Istat si evince che cresce il numero delle persone occupate. La notizia è sicuramente positiva anche se i dati vanno sempre analizzati con attenzione per capire quanto è reale il miglioramento e se il nostro paese sta mutando la sua posizione economica stagnante, se sta realmente trovando una direzione da seguire.
Cresce il livello di occupazione, ma restano praticamente invariate le ore lavorate che non aumentano in proporzione al numero degli occupati. Le ore totali lavorate nel primo trimestre 2008, periodo antecedente alla crisi, erano state quasi 11,6 miliardi, quelle del primo trimestre 2019 sono di poco sotto gli 11 miliardi.
L’aumento del tempo indeterminato è irrisorio rispetto alla crescita dei contratti a termine (+0,4%), anche a causa del decreto dignità che non è stato in grado di far altro che aumentare i lavori precari, e continuano a salire i finti lavoratori autonomi, a trattamento fiscale di favore (+0,6%).
Il governo esibisce in modo fiero il dato che racconta di una diminuzione del tasso di disoccupazione, sceso di 0,2 punti. Di questo valore però vanno osservate bene tutte le sfumature: il risultato positivo è dovuto all’aumento degli occupati ma è rimasto fermo il tasso di inattività, da quasi un anno sostanzialmente invariato. Questo indicatore è composto dalla somma di persone che, pur avendo la giusta età, non hanno e non cercano un lavoro. Ciò dimostra che un terzo della popolazione, che potrebbe essere coinvolta nel mercato del lavoro, ne resta esclusa o si esclude. Questa dinamica è esattamente quello di cui un paese non ha bisogno, ma che anzi dovrebbe evitare per avviare una reale politica di crescita. In più, quando verranno pubblicati i dati dell’Inps relativi alle assunzioni, potremo notare che la maggior parte dei nuovi assunti sono part time, sostanzialmente una strategia di ridistribuzione del lavoro già esistente che non crea sviluppo ma anticipa una decrescita.
I punti deboli di questa tanto conclamata crescita occupazionale sono diversi e dimostrano che le dinamiche del mercato del lavoro non possono essere piegate a piacimento dalla volontà politica. La fotografia della condizione economica attuale mostra oltre 150 vertenze aperte al ministero dello Sviluppo Economico, nel mese di gennaio erano 138, che coinvolgono circa 300.000 lavoratori. Il respiro delle aziende sembra affievolirsi rapidamente come i casi eclatanti di Marcatone Uno e Whirlpool di Napoli, con gli operai che montano le tende davanti alla fabbrica per difendere il posto di lavoro, in bilico dopo l’improvvisa comunicazione della proprietà che vuole vendere. L’anno scorso c’era stato un accordo di riorganizzazione che faceva ben sperare tutti i lavoratori degli stabilimenti di Caserta e di Napoli, pronti per la produzione di nuovi prodotti ma che alla fine non sono arrivati.
La situazione di Mercatone Uno non è migliore, 55 supermercati da circa due mesi sono chiusi definitivamente. Fallimento dichiarato e 10.000 lavoratori coinvolti. Bisogna ricordare che appena 9 mesi fa era stato Luigi Di Maio a concedere l’autorizzazione di vendere alla Shernon Holding, scelta che si è rivelata molto sbagliata visto che dopo nemmeno un anno l’impresa è vicina alla bancarotta. Whirlpool e Mercatone Uno sono soltanto esempi, visto che le aziende nella stessa situazione o quasi si estendono su tutto il territorio. La Bekaert di Figline Valdarno e la Pernigotti di Novi Ligure si stanno attrezzando per gestirsi in cooperativa e salvare il salvabile. La Bombardier di Vado Ligure è in forte criticità. La Piaggio Aerospace in amministrazione straordinaria e i giovani ingegneri se ne vanno all’estero. La soluzione per la riapertura di Erralluminia ed ex Alcoa sembra non esserci. Dopo la chiusura di uno stabilimento Fiat in Sicilia 800 lavoratori sono rimasti senza occupazione e la ex Irisbus non ha mai avuto un reale progetto di rilancio. A Taranto, ArcelorMittal ha avviato per crisi di mercato la cassa integrazione per 1.400 dipendenti; cassa integrazione discussa in cinque incontri con i sindacati a partire dal 6 giugno, tutti senza esito, con l’azienda rimasta ferma sulla sua posizione.
La cassa integrazione è aumentata in generale su tutto il paese, 78% in più rispetto al 2018 e, continua ad aumentare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che non possono essere considerati validi per la politica industriale. Le crisi aziendali stanno arrivando alla fine di ogni deroga ed esploderanno in estate e in autunno. Sulla mappa economica globale troviamo una condizione fertile per la crescita dei livelli occupazionali non solo in Cina e negli Stati Uniti, ma anche in molti paesi del nostro continente. La disoccupazione è stata praticamente abolita nei paesi che producono i due terzi della ricchezza del mondo. Gli Stati Uniti hanno un tasso di disoccupazione del 3,5%, in Cina è del 3,7%, Giappone 2,5%, Germania 3,2%, Regno Unito 3,8% e la lista potrebbe essere molto più lunga visto che i paesi che sono riusciti a portare i livelli di disoccupazione ai minimi storici sono davvero molti.
Ogni giorno siamo bombardati di notizie che raccontano un mondo in rovina, un’estenuante lotta tra poveri disoccupati con la costante minaccia della tecnologia e degli abitanti del terzo mondo che aleggiano sopra ogni singolo posto di lavoro e che l’unica soluzione sia rifugiarsi dietro i muri costruiti dal nazional-populismo. Questa non è la realtà.
Gli altri paesi continuano a crescere, è l’Italia che è ferma a causa di questa cultura dell’assistenzialismo che ha creato solo danni. Prendiamo gli Stati Uniti la cui economia continua a creare nuovi posti di lavoro consecutivamente da 8 anni. Grazie alle politiche attive che puntano soprattutto sull’apprendistato è cresciuta, insieme al numero degli occupati, anche la qualità dei posti di lavoro visto che i salari di tutti i settori sono molto alti e continuano ad aumentare senza far salire il livello di inflazione, dato che l’aumento salariale è collegato alla crescita della produttività.
Il tasso di disoccupazione in Italia era del 6,7% nel 2008 all’inizio della grande crisi, ha toccato il picco nel 2017 con il 12,7% e ora è sceso al 9,9%. Questo significa che non siamo ancora tornati nel buio profondo ma che sicuramente non stiamo andando verso la luce. In più bisogna evidenziare che la situazione nel nostro paese è molto diversificata. Nel settentrione troviamo una condizione di quasi piena occupazione, Lombardia e Veneto viaggiano con livelli pari alle migliori regioni d’Europa, sia come livelli di Pil sia come posti di lavoro, mentre nel Mezzogiorno permane da decenni una trappola di sottosviluppo strutturale e tecnologico che non permette di realizzare piani di politiche attive che possano creare occupazione e ricchezza.
Dal mare di problemi economici emergono i paradossi Italiani. Abbiamo la migliore istruzione pubblica con le migliori università del mondo, ma solo il 62% dei laureati trova lavoro nel nostro paese, gli altri preferiscono portare la propria conoscenza nei paesi dove viene valorizzata nel migliore dei modi. Le aziende cercano personale e nessuno si presenta per lavorare, come è accaduto alla Vitale Barberis Canonico, a cui occorrevano ingegneri e tecnici, o la Push di Nola che aveva bisogno di nuovi sarti.
I giovani italiani sono divisi in chi è preparato e parte e chi non cerca nemmeno di entrare nel mercato del lavoro, probabilmente perché convinto che non gli resti che riscuotere un reddito di cittadinanza e abbandonarsi alla politica dell’assistenzialismo, un rifiuto del lavoro come atteggiamento collettivo.
Il leader del sindacato autonomo Fismic Confsal Roberto Di Maulo dichiara che “evidentemente non è sufficiente aver cambiato il presidente dell’Inps e dell’Istat perché i numeri sono incontrovertibili e non c’è trucco contabile che contraddica la realtà. Una realtà che purtroppo prevede che l’Italia sia l’ultimo tra i paesi più importanti dell’area Ocse per disoccupazione soprattutto quella giovanile e in particolare nel meridione e, che senza una decisa modifica della politica economica del governo indirizzata a far ripartire il motore dello sviluppo, l’Italia è destinata ad allontanarsi sempre di più dai paesi guida dell’Europa.”
La disoccupazione inizierà a diminuire realmente solo quando comincerà a crescere anche la ricchezza del paese, i livelli di Pil di questo governo sono di poco superiore allo zero e se le cose non peggiorano ulteriormente è prevista una crescita irrisoria per il prossimo anno. Bisogna mettere da parte l’assistenzialismo e creare un mercato del lavoro reattivo.