Ccnl, vince l’egemonia – L’analisi del segretario generale Fismic sulla rappresentatività

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La firma della convenzione tra Inps, Inl, Confindustria e Cgil Cisl Uil è l’ennesimo tentativo di far prevalere la volontà egemonica delle confederazioni sindacali tradizionali e della Confindustria sull’intero sistema di relazioni industriali del Paese. Tentativo che ha preso il via proprio nel momento in cui, a partire dall’accordo di Pomigliano e dall’uscita della Fiat da Confindustria, molti gruppi industriali hanno deciso di abbandonare la Confindustria ed è cresciuto parallelamente il pluralismo sindacale.

Dal punto di vista temporale è bene sottolineare che il tentativo di misurare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali è uno dei fiaschi più grandi del secolo. Il primo accordo risale al giugno 2011, seguito da un altro del 2013, poi da quello chiamato pomposamente “testo unico sulla rappresentanza” del 2014, a sua volta modificato a luglio 2017 e poi dal “patto per la fabbrica” del marzo 2018, infine modificato dalla citata convenzione.

Nove anni per raccogliere dei dati certamente complessi, ma non impossibili e che ancora oggi sono al punto zero. L’errore di fondo non è nella mancanza di tempo o di mezzi, quanto nell’assegnare, o per meglio dire, auto assegnare a loro stessi, soggetti privati, l’incarico di misurare la rappresentatività.

L’altro errore è stato quello di copiare la legge sulla rappresentanza del pubblico impiego nell’illusione che questo avrebbe potuto funzionare. Ma non è possibile che possa funzionare, in quanto la legge sulla rappresentanza nel pubblico impiego agisce in un ambito in cui il datore di lavoro è unico (lo Stato) e le elezioni delle Rsu si svolgono ogni tre anni in una sola tornata. Nel mondo privato invece i datori di lavoro sono migliaia, la mobilità intersindacale è dell’ordine del 33% annuo, le unità produttive sono decine di migliaia e le elezioni delle Rsu al loro interno si svolgono ogni giorno a centinaia.

È evidente che tentare di copiare un sistema di rappresentanza di un mondo sostanzialmente statico non può essere riprodotto in un ambiente dinamico.

Inoltre se lo scopo principale della misurazione della rappresentanza è quello di limitare la cosiddetta pletora dei contratti nazionali, l’arma usata è del tutto inadeguata e sbagliata, a meno di ricorrere al metro semplificato del presidente Tridico che definisce pirati tutti i circa 700 Cccnl non firmati da Cgil Cisl Uil.

Gli accordi in questione, che hanno fatto da premessa alla convenzione, sono infatti accordi tra parti privati e impegnano esclusivamente i contraenti e non possono limitare l’iniziativa libera delle altre parti sociali: presso il Cnel sono registrati circa 880 Cccnl, quelli censiti finora dal testo unico del 2014 sono solo 68, quelli firmati da Cgil Cisl Uil sono oltre 170. Quindi le stesse Oo.Ss. firmatarie sono sottoscrittrici di tre Cccnl per uno censito dal testo unico. Ne restano fuori dal censimento oltre 800, un decimo dei quali firmati da Cgil Cisl Uil. Quindi se l’obiettivo era quello di limitare la cosiddetta pletora contrattuale, l’arma usata è assolutamente inefficace, in quanto gli accordi in questione sono tra parti private e impegnano esclusivamente i sottoscrittori e gli oltre 800 contratti nazionali resteranno intatti.

Lo scopo è quindi un altro: cacciare via dai 68 Cccnl censiti tutti quei sindacati che non sono Cgil Cisl Uil, con grave danno al pluralismo garantito dalla Costituzione. D’altronde questo è già avvenuto nonostante la palese carenza di certificazione quando nel novembre 2016 la Fismic Confsal e la Uglm sono state escluse in modo antidemocratico dalla firma dell’ultimo contratto dei metalmeccanici, dopo avere partecipato a tutte le sessioni della trattativa stessa. Che il censimento sulla rappresentatività fosse tutt’altro che concluso lo dimostra il testo della convenzione che in calce sottolinea la necessità di superare i ritardi e gli ostacoli registrati dal Testo unico.

Inoltre il nuovo censimento evidenzia a detta della stessa Inps, nella relazione di accompagnamento, la difficoltà a censire un gran numero di aziende che applicano ai loro dipendenti un contratto nazionale presente nel censimento ma non associate a Confindustria e anche la difficoltà a farsi consegnare i dati dalle piccole imprese.

Anche per quanto riguarda il censimento del dato elettorale Rsu le problematiche non sono poche in quanto la rilevazione del dato viene affidata agli ispettorati territoriali del Lavoro, che non hanno competenze specifiche e che vengono così distratti dalla loro funzione ispettiva. Per di più il dato elettorale è ancora più mobile di quello del tesseramento dato che si vota ogni giorno dell’anno. Non ci si capacita di come una fotografia statica possa rappresentare un mondo in costante evoluzione.

Nel testo della convenzione, al termine della premessa si legge che “la misurazione della rappresentatività delle OO.SS. costituisce informazione rilevante per l’individuazione del CCNL da assumere a riferimento per i benefici normativi e contributivi”. Quest’affermazione è particolarmente grave in quanto le funzioni ispettive dello Stato non possono dare vigore legale a un accordo che ha esclusivamente validità per le parti contraenti.

Anche la frase pronunciata dal neo ministro del Lavoro Nunzia Catalfo a commento dell’avvenimento creano molte perplessità quando afferma che “l’intesa odierna ore deve essere l’inizio di un percorso che ha tra i suoi punti di arrivo l’attuazione della seconda parte dell’articolo 39 della Costituzione”, cioè l’estensione erga omnes dei contratti. Se non è un errore da neofita del nuovo ministro Catalfo, sarebbe molto grave prendere in considerazione solo la seconda parte del dettato costituzionale e non l’intero articolo. I precedenti storici sono molto sfavorevoli a questa lettura parziale del dettato costituzionale in quanto più volte, nella storia repubblicana, l’Alta Corte costituzionale ha negato la validità di leggi che tentavano di percorrere la stessa strada rendono estesi erga omnes i contratti attraverso l’applicazione della seconda parte dell’articolo 39 e non l’articolo nella sua interezza (legge Vigorelli del 1959).

“Ci troviamo di fronte a un tentativo molto grave di provocare un vulnus alla democrazia sindacale, alla libertà di associazionismo sindacale e al pluralismo” afferma Roberto Di Maulo segretario generale della Fismic Confsal. “Noi crediamo che la qualità del contratto collettivo non dipenda dalla forza numerica dei suoi sottoscrittori, ma dai contenuti normativi e retributivi contenuti al suo interno. La Confsal ha proposto di istituire una commissione paritetica in sede Cnel per giudicare la qualità della contrattazione e dare, o negare, una sorta di bollino di garanzia di applicabilità ai contratti collettivi che per i loro contenuti passeranno positivamente al vaglio dell’esame di questa commissione. Noi della Fismic Confsal possiamo affermare con orgoglio questo in quanto siamo stati l’unica organizzazione sindacale che nel 2018 ha dato disdetta formale a cinque contratti da noi firmati, in quanto ritenuti non adeguati a proteggere i diritti e le retribuzioni dei lavoratori. Sfido altri sindacati, a partire da Cgil Cisl Uil, a fare altrettanto” prosegue Di Maulo.

Questo tentativo di egemonizzare il sistema di relazioni industriali sui soliti noti viene completato dall’ennesima circolare dell’istituto nazionale del Lavoro in materia di contratti nazionali. Con questa circolare l’Inl ha stabilito che i propri settori dovranno compiere un accertamento sul merito del trattamento economico/normativo, realmente garantito ai lavoratori, non un accertamento connesso a una formale applicazione del contratto collettivo nazionale del lavoro. Inoltre, dovranno imporre al datore di lavoro di applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali del lavoro stipulati da organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Appare evidente la volontà politica di cancellare dal sistema concertativo, le organizzazioni sindacali che non siano riconducibili a un “monopolio” sindacale, individuato mediante un’artificiosa e impropria definizione di realtà con maggiore rappresentatività comparata. Non è più possibile ignorare il disegno politico di omogeneizzazione del mondo del lavoro, di un appiattimento del sistema sindacale di chiara caratura monopolistica, il quale spera di recuperare la centralità perduta cancellando qualsiasi forma di concorrenza.

La circolare non è solo pericolosa per la libertà sindacale e welfare aziendale, ma è anche dannosa per il ruolo dei contratti nazionali di lavoro. Al suo interno si può leggere che “anche il datore di lavoro che si obblighi a corrispondere ai lavoratori dei trattamenti economici e normativi equivalenti o superiori a quelli previsti da tali contratti, possa legittimamente fruire dei benefici normativi e contributivi indicati dall’art. 1, comma 1175, della L. n. 296/2006; ciò, pertanto, a prescindere di quale sia il contratto collettivo “applicato” o, addirittura, a prescindere da una formale indicazione, abitualmente inserita nelle lettere di assunzione, circa la “applicazione” di uno specifico contratto collettivo”.

È necessario concentrarsi sull’espressione “formale indicazione”. Fatto notorio è che, la comunicazione al lavoratore del contratto applicato, dovrebbe rappresentare una condotta tutt’altro che formale. Quindi il messaggio che mandiamo agli organi competenti è quello relativo al fatto che, questa valutazione sostanziale della comunicazione, configuri un attacco vero e proprio ai Ccnl, nella loro veste di cardine e leva definitoria dei rapporti tra lavoratore e imprese.

Definire “formale” la comunicazione al dipendente configurerebbe un subitaneo svilimento del valore del contratto collettivo e, di conseguenza, imporrebbe la totale ininfluenza del Ccnl sulle condizioni lavorative personali del lavoratore.

La Fismic Confsal sottolinea la natura impropria di questa condotta in virtù di un chiaro principio di diritto presente nella disciplina sui contratti di lavoro. Il riferimento è all’inderogabilità in peius dei contratti collettivi per quanto concerne i loro rapporti con i contratti individuali. Difatti, è impossibile, per un datore di lavoro e per il lavoratore, disciplinare contrariamente a quanto sancito dal contratto collettivo, ricorrendo a un personale contratto individuale. Bisogna ricordare che, a disciplinare tale inderogabilità, vi è l’articolo 2077 del codice civile.

Le circolari emanate dall’Istituto nazionale del lavoro sottostimano il valore della comunicazione del Ccnl applicato al dipendente, configurando una sorta di pianificazione tra le due tipologie di contratti (collettivo e individuale): cosa che determinerebbe uno svuotamento del valore del contratto collettivo.

“Un’aura di illegittimità sembra pervadere l’intero documento, finanche sconfinante in malcelate condotte antisindacali, contro le quali ci batteremo in ogni sede” conclude Roberto Di Maulo.

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